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Novità Editoriale – POESIA EROTICA ITALIANA dal Duecento al Seicento a cura di Carmine Mangone (Il Levante Libreria Editrice, 2013)

Creato il 26 novembre 2013 da Wsf

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POESIA EROTICA ITALIANA dal Duecento al Seicento, a cura di Carmine Mangone, Il Levante Libreria Editrice, Latina 2013; pp. 120, euro 15, formato 14,8×21, ISBN: 978-88-95203-39-3 [il libro non ha distribuzione commerciale; per richieste contattare l'editore [email protected] [o il curatore [email protected]].
Gli autori antologizzati sono: Rustico Filippi, Dante Alighieri, Francesco Petrarca, il Burchiello, Antonio Cammelli, Annibal Caro, Pietro Aretino, Francesco Berni, Nicolò Franco, Luigi Tansillo, Anton Francesco Doni, Camillo Scroffa, Veronica Franco, Giulio Cesare Cortese, Giovan Battista Marino, ecc.

Alcuni estratti dall’introduzione di Carmine Mangone, “Quando le parole fanno sesso. Elementi per una critica dell’erotismo e del discorso amoroso”:

In ambito linguistico italiano, a partire dal XIII secolo, vengono a crearsi due distinti processi. Anzitutto, si ha la progressiva codificazione di una lingua letteraria volgare incentrata sul dialetto toscano; ciò è dovuto sia alla grande influenza esercitata dagli scrittori fiorentini (Dante, Petrarca, Boccaccio), sia al potere economico e politico dei Comuni toscani dell’epoca. Parallelamente, le specificità geopolitiche della penisola facilitano e mantengono un insieme di “lingue minori”, di imbastardimenti locali del volgare o di riviviscenze dei dialetti che produrrà incessantemente delle linee di fuga, delle sperimentazioni all’interno stesso della lingua nazionale che si va coagulando, aprendo così degli squarci di libertà (o delle semplici nicchie di sopravvivenza) a tutto vantaggio delle culture subordinate, antagoniste e minoritarie. Un chiaro esempio è lo sviluppo di quei filoni scherzosi, allusivi o pesantemente osceni che attraversano i primi secoli della letteratura italiana: dalla poesia “alla burchia” ai capitoli berneschi, dalle intemperanze aretiniane alla poesia fidenziana, da certe triviali parodie del marinismo fino ai versi erotici di autori dialettali del Settecento come il veneziano Giorgio Baffo o il catanese Domenico Tempio, si ha la continua emergenza di temi burleschi e sessuali che vanno ad attaccare, da un lato, la staticità del mondo feudale e, dall’altro, i luoghi comuni di quel nuovo potere che si va “addensando” storicamente intorno all’affermazione economica della borghesia. (…)
L’incrinarsi delle strutture feudali genera molteplici istanze di libertà e apre nuovi territori all’esperienza e al pensiero umani. In realtà, la struttura fondamentale della società cambia lentamente, se si eccettuano beninteso i nuovi contesti urbani, tuttavia s’intensificano la mobilità e la circolazione dei suoi diversi elementi. Emergono istanze sociali che attivano un dinamismo inedito – la borghesia cittadina, il ceto affaristico proto-capitalista – e, all’interno di questo movimento, anche la circolazione delle idee diventa valore e processo di valorizzazione dell’esistente. Con l’affiorare delle dinamiche capitaliste, si afferma una libertà legata a doppio filo alla circolazione economica dei valori prodotti dall’uomo, ivi compresi i valori “culturali”. A partire dal Basso Medioevo, l’impulso socioeconomico dato alla circolazione dei valori (merci, denaro, idee, forza-lavoro contadina che si va inurbando) comporta infatti una maggiore libertà di movimento e di opinione in capo ai soggetti sociali emergenti. L’individuo diventa vettore e riproduttore di valori sociali sempre più astratti e normati, anche per via della generale razionalizzazione degli apparati statali. Nella sfera politica, ogni individuo viene quindi assoggettato progressivamente al diritto positivo degli Stati, ma acquisisce di rimando un controvalore in libertà, in diritti soggettivi da poter “spendere” nella vita quotidiana.
I mutamenti e le contraddizioni dell’epoca che va verso la modernità si riflettono chiaramente anche nei processi artistici e letterarî. Gli spiriti più sensibili, consci di essere i produttori di una legittimazione culturale del potere, e pur restando aggiogati al carro di qualche mecenate gentilizio o ecclesiastico (in perenne oscillazione tra Impero, Papato e piccole sovranità locali), cercheranno nondimeno di ritagliarsi degli spazî di libertà dentro i nuovi processi storici. (…)
Una volta abbandonato il sentiero tracciato dalla tradizione petrarchesca o dal dogmatismo grammaticale dei pedanti, ci si può allora imbattere in spiriti inquieti come il Burchiello, Antonio Cammelli, l’Aretino, Nicolò Franco o Anton Francesco Doni. (…)

Domenico di Giovanni, detto il Burchiello (1404-1449)

Molti Poeti han già descritto Amore,
Fanciul nudo, coll’Arco faretrato,
Con una pezza bianca di bucato
Avvolta agli occhi, e l’ali ha di colore:

Così Omer, così Nason maggiore,
Vergilio, e tutti gli altri han ciò mostrato;
Ma come tutti quanti abbiano errato
Mostrar lo intendo all’Orgagna Pittore:

Sed egli è cieco; come fa gl’inganni?
Sed egli è nudo, chi gli scalda il casso?
S’ei porta l’Arco, tiralo un fanciullo?

Se gli è sì tenero, ove son tanti anni?
E s’egli ha l’ale, come va sì basso?
Così le lor ragion tutte l’annullo:

Amore è un trastullo,
Che porta in campo nero fava rossa,
E cava il dolce mel delle dure ossa.

Pietro Aretino (1492-1556)

Mettimi un dito in cul, caro vecchione,
E spinge il cazzo dentro a poco a poco;
Alza ben questa gamba a fà buon gioco,
Poi mena senza far reputatione.

Che, per mia fè! Quest’è il miglior boccone
Che mangiar il pan unto appresso al foco;
E s’in potta ti spiace, muta luoco,
ch’uomo non è chi non è buggiarone.

– In potta io v’el farò per questa fiata,
In cul quest’altra, e ’n potta e ’n culo il cazzo
Mi farà lieto, e voi farà beata.

E chi vuol esser gran maestro è pazzo
Ch’è proprio un uccel perde giornata,
Chi d’altro che di fotter ha sollazzo.

E creppi in un palazzo,
Ser cortigiano, e spetti ch’ il tal muoja:
Ch’io per me spero sol trarmi la foja.

Nicolò Franco (1515-1566)

Donne, la legge vuole e la natura,
Che ciascuna di voi mi sia cortese
D’un bacio almanco, poichè per le chiese
Baciate fino a i legni con le mura.

L’onor del mondo non vi dia paura,
Che un bacio non pregiudica all’arnese;
E se viver vogliamo alla francese,
Bocca baciata non perde ventura.

Ma, poichè non volete questo invito,
Andate pur, ch’io non vi vo’ invitare,
Anzi d’averlo detto son pentito.

Perocchè quel non fottere e baciare,
Ad un ch’aggia grandissimo appetito
A punto è come il bere e non mangiare.

Veronica Franco (1546-1591)

(…)
Cosí dolce, e gustevole divento,
Quando mi trovo con persona in letto
Da cui amata e gradita mi sento,
Che quel mio piacer vince ogni diletto,
Si che quel, che strettissimo parea,
Nodo de l’altrui amor divien piú stretto.
Febo, che serve a l’amorosa dea,
E in dolce guiderdon da lei ottiene
Quel, che via piú, che l’esser dio, il bea,
A rivelar nel mio pensier ne viene
Quei modi, che con lui Venere adopra,
Mentre in soavi abbracciamenti il tiene;
Ond’io instrutta a questi so dar opra
Si ben nel letto, che d’Apollo a l’arte
Questa ne va d’assai spatio di sopra;
E ’l mio cantar, e ’l mio scriver in carte
S’oblia da chi mi prova in quella guisa,
Ch’a’ suoi seguaci Venere comparte.
S’havete del mio amor l’alma conquisa,
Procurate d’havermi in dolce modo,
Via piú, che la mia penna non divisa.
Il valor vostro è quel tenace nodo
Che me vi può tirar nel grembo, unita
Via piú ch’affisso in fermo legno chiodo:
Farvi signor vi può de la mia vita,
Che tanto amar mostrate, la virtute,
Che ‘n voi per gran miracolo s’addita.
Fate, che sian da me di lei vedute
Quell’opre, ch’io desio, che poi saranno
Le mie dolcezze a pien da voi godute;
E le vostre da me si goderanno
Per quello, ch’un amor mutuo comporte,
Dove i diletti senza noia s’hanno.
Haver cagion d’amarvi io bramo forte,
Prendete quel partito, che vi piace
Poi, che in vostro voler tutta è la sorte.
Altro non voglio dir: restate in pace.

[N.B.: qui su WSF si omettono le decine di note esplicative presenti in calce ai testi e che troverete nel libro]


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