Tornare ai Manowar per due volte in due settimane, in altrettante trasferte al freddo e al gelo, è una cosa che spalancherebbe le porte del Valhalla anche a un fan dei Muse coi risvoltini ai pantaloni. Figurarsi quindi a me, che ho offerto la mia vita in sacrificio all’Acciaio. E l’Acciaio non dimentica, fratelli. L’Acciaio sa come ricompensarvi quando meno ve l’aspettate. L’Acciaio ricorda. Ours is the kingdom of steel.
Infatti arriviamo al Tempodrom che siamo belli carichi. Fa meno freddo di quanto ci si aspettasse, ma forse siamo noi che siamo caldi dentro. All’esterno dell’arena c’è un po’ di neve nonostante non abbia neanche piovuto, ma è probabilmente un regalo dal dio Odino per farci meglio identificare nel testo di Army of Immortals. Arriviamo in tempo per poter fare la fila per le birre, che in Germania non è mai troppo corta. Il concerto comunque inizia una ventina di minuti dopo rispetto al previsto, forse per permettere a tutti di entrare con calma. Magari l’esperienza di Varsavia, con centinaia di persone ancora in fila fuori dall’arena mentre il concerto cominciava, è servita a qualcosa; ed è scopertissima l’ironia: tra polacchi e tedeschi, sono stati questi ultimi a dimostrare più elasticità sull’orario.
Avrei sempre voluto vedere i Manowar in Germania. Non tanto per l’emozione di fare il segno del martello in mezzo a laidi ciccioni che ridono con la bocca aperta mentre masticano bratwurst, ma per sentire il ruggito della folla su Blood of the Kings, in risposta alla linea “back to the glory of Germany!”. Sul serio, è una cosa a cui ho sempre pensato sin da ragazzino. Purtroppo stavolta non l’hanno fatta, a differenza dell’anno scorso in cui però si era in Svizzera e quindi niente. E comunque non è che il pubblico crucco sia famoso per trasmettere molto calore ai concerti, quindi magari sarei potuto rimanere deluso. È brutto rimanere delusi, ma non è una giustificazione per non provare: a volte capita persino che la realtà superi ogni aspettativa. E allora magari in Germania i palazzetti esplodono davvero, cantando quella linea. Che ne sai.
Ma alla fine non si sono comportati male, i tedeschi. Certo nulla a che vedere col pubblico italiano, però c’erano certi soggetti che non vi dico. Rispetto all’Italia la percentuale di gilè di jeans con le toppe dei gruppi era dieci volte tanto, così che anche nei momenti morti ci si potesse distrarre studiando sulle schiene altrui il criterio nella disposizione dei loghi dei gruppi thrash attivi nel 1986. C’era davvero tanta gente, il posto era quasi esaurito; saremo stati un paio di migliaia, ma posso sbagliarmi.
Ovviamente non ci si aspettava niente di diverso dal concerto in sé, e niente di diverso è stato. L’acustica è migliore rispetto a Varsavia; e anche la scenografia ha un impatto molto diverso su questo palco. A differenza del concerto di due settimane prima, peraltro, sui megaschermi verticali posti ai lati scorrono immagini di ragazze del pubblico con le tette al vento; non ragazze del pubblico di questa sera, chiaramente, perché adesso sono tutti più fighetti e una cosa del genere porterebbe sicuramente ad un’interrogazione parlamentare sul pericolo sessista insito nel gruppo metal più potente dell’universo. E bisogna stare attenti, perché come sapete i nemici del vero metal sono ovunque, e cercano di eliminarci in ogni modo.
Fanno le loro solite due ore filate senza sbavature, su un canovaccio che portano avanti da parecchio tempo ormai. Una delle mie certezze della vita è vedere periodicamente Joey DeMaio che maltratta il basso con sguardo bovino, sempre rimanendo rigidissimo con la schiena, e che sembra accenni un passetto militare un-due un-due anche se in realtà lui cammina proprio così. A questo proposito le diagnosi più probabili sono tre: 1- si sta lentamente mummificando; 2-l’acciaio che gli scorre nelle vene lo rende rigido; 3-ha una spada al posto della spina dorsale. Chiaramente una cosa non escluderebbe le altre, in caso.
Anche stavolta il nostro condottiero dell’Acciaio inizia il suo discorso motivazionale accennando qualche frasetta nell’idioma locale, e io immagino sempre che se fossi l’omino dietro al palco a cui lui chiede di insegnargli come si dice “siete il pubblico più glorioso e cazzuto del mondo!” io gli direi qualcosa che tradotto suonerebbe come “ho il culetto arrossato, odorate le mie scoregge!”, e chissà se questa cosa non si sia mai verificata. Magari è successo davvero in un concerto, che so, a Giacarta; magari a Giacarta hanno un senso dell’umorismo che non ti immagini. Insomma poi quando il discorso ingrana Joey torna all’inglese e inizia a parlare delle cose importanti: il metallo, la fratellanza, il rispetto, le tette, gli amplificatori potenti, eccetera. Rivolge il suo occhio di arkengemma a una tizia e le dice che potrebbe scoparla anche adesso, proprio lì sul palco – e mima l’atto, sempre con la schiena rigidissima – ma non lo farà, perché il suo ragazzo lì presente è un fratello del vero metal e quindi non si fa. Applausi, ovazioni, segni del martello per aria, rutti di approvazione, birra che vola ovunque. Altre frasi sul vantaggio di avere una spada al posto della spina dorsale, motti di scherno verso coloro che non ce l’hanno, minacce di morte ai nemici del vero metal. A un certo punto si rivolge verso una tizia (non ho capito se fosse la stessa di prima) e le dice che questa sera quando il suo ragazzo se la scoperà e lei giungerà al culmine dell’amplesso dovrà gridare MANOWAR!. Tripudio generale e parte Warriors of the World United.
Tutte le novità rispetto al concerto di due settimane prima sono state nel discorso di Joey e nelle tette sullo schermo. Per quanto riguarda la scaletta nessuna variazione: il tour si chiama Gods and Kings, e si concentra sui pezzi di Gods of War e Kings of Metal. Avrebbero potuto chiamarlo Gods and Metal, o Kings and War, anche se così sarebbe sembrata una parodia, tipo la macchina da scrivere dei Manowar. Di Gods of War ne fanno cinque; di Kings of Metal quattro, compresa la conclusione affidata come sempre a The Crown and the Ring. Giubilo, gioia e tanto amore nel Tempodrom. Viva il metallo, viva noi, e viva pure la neve che sta fuori. Sbronzi e felici, ebbri d’amore e di tutto ciò che di positivo c’è in questo mondo, saltelliamo fuori in attesa del prossimo concerto, il cui tour magari si chiamerà Fight and Steel, oppure Sword and Kill, chi lo sa. Tanto noi ci andremo comunque.Adesso però vi devo dire qualcosa di molto importante. Mi rivolgo a quelli che ormai zingarate del genere non le fanno più: state sbagliando tutto. Io lo so che la vita può essere dura e che si diverte pure a infierire, che tutto può sembrarvi buio e senza speranza e che magari leggere l’articolo di Metal Skunk che vi capita sulla bacheca di facebook vi diverte proprio perché vi ricorda qualcosa che pensate di non poter essere più. E invece no, cazzo. Non fatevi piegare. Poi un giorno mentre camminate per strada vi arriva un pianoforte in testa e morite così, spiaccicati. E in quel momento penserete “cazzo. Potevo almeno andare a spaccarmi due giorni in un posto grim & frostbitten con la scusa di vedere i Manowar come fanno quegli stronzi di Metal Skunk. E invece eccomi qui, spiaccicato sotto a un pianoforte, e ora dovrò andare a rendere conto per le mie bestemmie senza mai aver bevuto una bottiglia sana di vodka e Club Mate sul pullman per l’aeroporto fingendo di essere una persona distinta”. Noi purtroppo siamo questo, caro amico spiaccicato in mezzo alla strada: mica siamo persone normali. Noi siamo questo e bisogna prenderne atto. Altrimenti vedremmo tutto grigio, vivremmo una vita grigia, e tanto varrebbe seppellirsi sotto a quanto di magico c’è nella discarica di Malagrotta. O farsi schiacciare da un pianoforte. Quindi la prossima volta fareste meglio a raggiungerci sotto a quel palco e celebrare con noi il metallo, la vita e l’amor che move il sole e l’altre stelle.
Scaletta:
Manowar
Die For Metal
Call To Arms
The Sons of Odin
Kings of Metal
Sting of the Bumblebee
Ascension
King of Kings
Hand of Doom
The Lord of Steel
House of Death
Dawn of Battle
Hail and Kill
Warriors of the World United
Black Wind, Fire and Steel
The Crown and the Ring