Domani ricorre il trentesimo anniversario della morte di John Lennon, ucciso proprio perché quel destino profetizzato (nel film) dalla madre Julia John lo aveva in parte rinnegato, o in qualche modo messo in discussione, ritirandosi dalle scene per cinque anni e minimizzando con la sua ironia a chi gli chiedeva cos’erano i Beatles.
Nowhere Boy di Samantha Taylor-Wood però parla d’altro: è la storia di un adolescente difficile, diviso tra una madre naturale ed una de facto (la zia Mimi), che si sente amato ma non nel modo giusto, che non sa come reagire e che trova finalmente in una chitarra il modo giusto di incanalare la sua rabbia. Emblematico lo scambio di battute con Paul: John gli fa notare che non sembra molto “rock’n’roll” con i suoi modi da bravo ragazzo, e Paul risponde che a lui piace solo la musica, gli altri atteggiamenti da rock star non gli interessano (avrà tempo per cambiare idea, ma questa è un’altra storia, e del resto il vero McCartney ha dichiarato che Nowhere Boy non è esattamente un film storicamente filologico). Magari questo scambio di battute non sarà mai avvenuto, ma è la chiave di lettura ideale sia di un grande rapporto che della sua stessa fine, con Paul ad inseguire forme musicali e John a cercare disperatamente di uscire dal dolore che non lo ha mai abbandonato.
E’ vero che è difficile dimenticare chi è e chi sarà John, mentre si guarda il film, ma in effetti la vicenda si incentra intelligentemente sul rapporto tra John e sua madre Julia, dal loro riavvicinamento alla tragica morte di lei. E’ la storia di un adolescente negli anni Cinquanta, quando saper suonare la chitarra ed essere un leader poteva fare la differenza tra un lavoro al porto di Liverpool e una speranza di essere qualcuno. O forse no, ma almeno per uno è stato davvero così.
Non c’è bisogno di essere fan dei Beatles per apprezzare la colonna sonora o l’interpretazione di Aaron Johnson (bravissimo) e di Kristin Scott-Thomas (nei panni di Mimi)… certo quando John e Paul si stringono la mano per la prima volta, si avverte chiaramente un fremito nella Forza. Ci sono degli ottimi momenti di cinema e questo è quello che conta, una volta seduti in sala: l’iniziale omaggio ai Beatles (unico e neanche troppo palese), la sequenza finale con In Spite of All the Danger, la sequenza in cui John impara a suonare la chitarra, l’incontro con Paul.
Non amo i biopic, ancora meno le agiografie, poi di mistificazioni sui Beatles ce ne sono fin troppe. E’ una storia troppo recente (e troppo ben documentata) per diventare leggenda e incorporare in quanto tale tutte le versioni alternative degli odierni cantori dei media, che diventano la storia ufficiale agli occhi delle persone meno informate. E’ una pratica disonesta e furbetta, irrispettosa delle persone che guardano e che sono raccontate.
John Lennon è stato un genio del pop, ma soprattutto una persona complicata e tormentata, capace di scrivere Imagine ed essere un pessimo padre, per la quale scindere il lato artistico e quello umano è praticamente impossibile: non si deve fare l’errore di ridurre ad un film la sua complessa personalità. L’uomo ed il personaggio John Lennon sono la stessa faccia della medaglia, non si può raccontare uno senza l’altro, e tradire la verità sulla sua vita implica tradire anche la sua arte. A John non sarebbe certo piaciuto piegare la sua storia alla fiction.
Per cui sia chiaro: il John di Nowhere Boy non è quello che fonderà e poi scioglierà i Beatles, non è quello che sposerà Yoko Ono e non è quello che morirà a New York per mano di uno psicolabile qualche anno dopo. Però, in certi momenti, gli assomiglia maledettamente e ci ricorda quanto il vero John ci manchi.