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Nucleare, errori e luoghi comuni di chi ne ha paura

Creato il 07 giugno 2011 da Lorenzo_gigliotto

Ora, al di là del dirsi pro o contro o viva o abbasso e la solita impostazione da curva calcistica cui siamo ormai assuefatti, su questa faccenda del nucleare sì/nucleare no varrebbe la pena di ricominciare a discutere basandosi su qualche dato – che poi certo, anche l’emozione pesa nelle decisioni, ma è un altro discorso. E comunque intendiamoci, non si tratta necessariamente di sostenere tout-court il ritorno alle centrali – ci sarebbe allora da discutere più che altro sulla credibilità della classe politica eventualmente chiamata a gestirle, e qui ce ne sarebbero anche troppe da dire -, ma perlomeno si potrebbe ragionare. Vediamo di provarci.

Morti per la diga, non di radioattività
Punto di partenza è naturalmente il disastro di Fukushima. I morti accertati dovuti al cataclisma in Giappone sono stati oltre 13mila (dispersi esclusi). Ma – è bene ribadirlo – sono vittime provocate dal terremoto e dal conseguente tsunami. Per quanto riguarda la centrale nucleare investita dall’onda, si son contati tre decessi, riconducibili a incidenti durante la rimessa in sicurezza dell’impianto. Tra l’altro, la struttura – una delle più datate del Paese – ha ben resistito al terribile urto: semplificando, i problemi sono stati provocati dall’acqua che ha sommerso il motore d’emergenza, il quale non s’è acceso così portando al surriscaldamento. Nel senso: se fosse stato posizionato più in alto, non ci sarebbe stato alcun problema – e la storia dell’uomo in effetti procede così, per prove ed errori e successive previdenze, ma tant’è. In ogni caso, nessuna vittima ha a che vedere con la radioattività fuoriuscita, i cui danni saranno verificati nel tempo. Una cosa: il crollo della diga di Sukagawa ha provocato un migliaio di morti, e nessuno s’è sognato di mettere in discussione l’energia idroelettrica.

Miniere mortali, più di Chernobyl
E allora possiamo confrontare i dati relativi all’incidente di Chernobyl, quello dell’87 – ed è opinione comune che abbia portato a conseguenze molto più gravi per via dell’atteggiamento omertoso delle autorità.  Il rapporto stilato dalle agenzie dell’Onu – fra cui Organizzazione Mondiale della Sanità e Agenzia internazionale per l’energia atomica – parla di 65 morti accertati, e altri 4mila presunti – cioè che non sarà possibile associare direttamente al disastro – e nell’arco di ottant’anni. E però allora c’è da confrontare: secondo dati governativi, solo in Cina e fra 2009 e 2010 sono morti nelle miniere di carbone 5mila lavoratori – dunque, in un solo Paese e in due anni più di quelle ipotizzate per Chernobyl in ottanta. Per non parlare dei decessi causati da incidenti in impianti petroliferi, o nei gasdotti. Altra considerazione: da decenni si discute di come diminuire l’inquinamento provocato da petrolio e carbone e quant’altro, responsabile di incalcolabili vittime causa tumori e malattie varie. In questo senso il nucleare è a emissioni zero. Poi intendiamoci, non è che morire di una cosa piuttosto che di un’altra sia consolatorio. Ma quando si tratta di scelte strategiche, è importante considerare il minor danno possibile.

Italia a tutto gas. Rinnovabili di nicchia
Veniamo al discorso relativo all’approvvigionamento, magari restringendolo all’Italia. Secondo i dati sul 2010 forniti da Terna, azienda che distribuisce l’energia elettrica, il fabbisogno nazionale – 326.200 gigawattora – viene coperto per il 66,8 per cento dal termoelettrico – energia prodotta per mezzo di combustibili fossili, gas e carbone e petrolio -, per il 15,1 per cento dall’idroelettrico – le dighe – e per il 4,6 per cento da geotermico, eolico e fotovoltaico. Infine, il 13,5 per cento della domanda è soddisfatta dall’importazione di energia dall’estero – Francia soprattutto, che la produce con le centrali nucleari. Incrociando questi dati con quelli di Legambiente, si evince  che l’eolico arriva al 2,5 per cento (8.374 GWh) e il fotovoltaico allo 0,5 (1.600 GWh). Peraltro, tornando ai combustibili fossili, c’è da considerare che il 90 per cento del gas utilizzato in Italia (la materia prima più diffusa, ne deriva il 40 per cento dell’energia complessiva) viene importato, così come  il 90 per cento di petrolio e carbone. L’autosufficienza energetica, da noi, è  una chimera.

Importiamo oltralpe pagando due volte

Come detto,  dalla Francia importiamo energia, ma la situazione è paradossale. Allora: dopo aver chiuso le centrali con il referendum del 1987, l’Italia ha nel 2007 stipulato un accordo proprio con la Francia affinché si prendesse le scorie residue, versando a Parigi 250 milioni di euro. Solo che in Francia possono contare su centrali nucleari in grado di riprocessare queste scorie, ricavandone altra energia. Che poi la stessa Francia ci rivende. Inoltre, quest’ultima lavorazione produce a sua volta altre scorie: in base all’accordo, ci saranno restituite nel 2025. Per riassumere: l’Italia dà le scorie nucleari alla Francia pagando 250 milioni, loro ci ricavano energia e ce la rivendono, e poi ci restituiscono altre scorie che dovremo stoccare. Un affarone.

Qualche precisazione sul problema scorie
E a proposito di scorie nucleari: il problema indubitabilmente esiste, ma va quantificato. Mediamente, un reattore nucleare ne produce ogni anno circa 30 tonnellate ad alta attività (materiale irraggiato), che corrispondono a 5 metri cubi. Poi ci sono quelle a media e bassa intensità – scarti di lavorazione e rottami e  fanghi e indumenti -, derivanti oltre che dalle installazioni nucleari anche da ospedali, industrie, laboratori. Ed è curioso come le scorie prodotte da attività diverse rispetto alla produzione d’energia non preoccupino così tanto: Stefano Monti, ingegnere nucleare e funzionario dell’Enea, ha stimato in 40mila  metri cubi i rifiuti radioattivi prodotti ogni anno nell’Unione Europea, di cui solo una parte derivante da centrali. Comunque: in Europa esistono trenta depositi di stoccaggio, un centinaio nel mondo.

Bollette italiane più care d’Europa
La  verità è che le scelte italiane in tema d’energia lasciano perplessi. Massimo Mucchetti, sul Corriere della Sera, faceva notare come  l’Italia produrrà a regime 10 miliardi di chilowattora con il fotovoltaico incentivato con 88 miliardi in vent’anni, mentre l’Enel a Porto Tolle ricaverà 14 miliardi di chilowattora con il carbone, e senz’alcun incentivo – per inciso, il costo iniziale d’un reattore di tipo Epr francese è di 6 miliardi, anche se poi la spesa sempre lievita. E comunque, le sciagurate politiche energetiche  han fatto sì che le bollette italiane siano le più care d’Europa. Stando a uno studio Sole24Ore/Nomisma, l’industria italiana paga 0,12 euro per chilowattora per consumi compresi fra 2 e 20 gigawattora l’anno: è più cara solo a Cipro, mentre la media europea è di 0,09 euro per kwh. Per le famiglie, considerando consumi fra 2.500 e 5.000 kwh l’anno, arriviamo in Italia a 0,2 euro a kwh: quinto posto in Europa per tariffa più costosa – dopo Danimarca, Germania, Belgio e Norvegia.

Il mondo va a carbone  poi gas e nucleare
In ordine al nucleare, c’è però da dire che nel mondo il suo utilizzo diminuisce, così come per il petrolio. I dati dell’Agenzia internazionale dell’energia di Vienna dicono che, negli ultimi dodici anni, il contributo dell’energia atomica alla produzione mondiale d’energia è diminuito dal 17,2 al 14 per cento, quello del petrolio dall’8,9 al 4,7. Cresce l’incidenza del carbone (dal 38,4 al 40,3 per cento) e del gas (dal 15,8 al 20,8). L’idroelettrico cala anch’esso, mantenendosi al 16,6 per cento. Tutte le rinnovabili nel loro complesso si fermano al 3,3 per cento: cresceranno, ma allo stato attuale – e mantenendo questo modello sociale – non pare vi si possa impostare una strategia energetica complessiva.

di Andrea Scaglia

http://libero-news.it/news/754283/Nucleare__errori_e_luoghi_comuni_di_chi_ne_ha_paura.html

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