Il nucleare è un problema ormai da archiviare? Il referendum appena concluso ha messo in chiaro che una grande maggioranza dei cittadini italiani non ritiene che la produzione di energia nucleare sia socialmente ed economicamente accettabile. I rischi potenziali ad essa associati sono ritenuti o percepiti come eccessivi rispetto alla qualità della vita alla quale molti aspirano e che si vuole salvaguardare.Anche per i figli e i figli dei figli. Perchè quando si parla di nucleare la scelta coinvolge dimensioni temporali che non sono riducibili a quelle della vita media di un uomo o di una generazione, ma si estendono alle generazioni future.
I detrattori di tale scelta, favorevoli al proliferare del nucleare cosidetto civile, tentano di squalificarla definendola una scelta irrazionale ed “emotiva”. Assunta solo per la paura prodotta dall’evento disastroso di Fukushima in Giappone. Essi, infatti, non senza ragione, sostengono che quello è stato un evento molto raro, così improbabile che non può costituire la norma e la misura delle restanti centrali mondiali, esistenti o da costruire. Ma in reatà è proprio questo uno dei punti di massima vulnerabilità del nucleare. Fukushima ha dimostrato che proprio gli eventi a bassa probabilità, che in quanto tali vengono trascurati nell’analisi costi benefici che sottende alla costruzione delle centrali nucleari, accadono comunque. E quando accadono i costi in termini umani, sociali e territoriali sono così elevati da azzerare i vantaggi economici che si sono ottenuti nei decenni in cui le centrali hanno prodotto elettricità. Pertanto se si dovesse progettare le centrali nucleari in modo che siano sicure anche nei confronti di eventi distruttivi come quelli che hanno colpito il Giappone, dubito che l’energia eletrica da esse prodotta possa considerarsi competitiva.
La percezione emotiva è sempre in antitesi con una scelta cosidetta razionale? Sicuramente no! Le persone che credono questo hanno in realtà una visione della scienza di tipo magico. Essi si affidano ciecamente alla scienza, pensando che sia possibile un controllo totale e completo di tutte le connessioni causa effetto che determinano un certo processo. In realtà la scienza sa da molto tempo che nei sistemi complessi l’unico approccio non è quello deterministico, ma quello probabilistico e quindi la sicurezza di un impianto (a causa anche delle condizioni al contorno che determinano come tale impianto s’integra con il territorio, la società ecc.) può solo essere stimata. E se un elemento d’indeterminazione è presente esso è proprio l’effetto umano. Nessuna centrale, per quanto moderna ed automatizzata, può prescindere dall’azione dell’uomo che è spesso imprevedibile. Lo dimostrano proprio le centrali nucleari che hanno subito gravi incidenti. Nella maggior parte dei casi l’anello debole, ma decisivo è stata proprio l’imperizia umana.
L’aspetto emotivo non è quindi da demonizzare, ma da prendere seriamente in considerazione nelle scelte che incidono profondamente sulla vita delle persone.
D’altronde non è forse vero che tutta l’economia (si pensi al ruolo della pubblicità) e anche le scelte politiche vengono ogni giorno fortemente veicolate attraverso registri emotivi? In Italia i partiti attualemente al governo hanno usato ampiamente i temi della paura dello straniero e della sicurezza sociale per vincere le elezioni. Ma oggi, purtroppo, è costume l’uso dei due pesi e delle due misure.
Tornando al nucleare, bloccata per adesso la speculazione che si voleva avviare, poichè era evidente che la spinta a far ripartire la costruzione delle centrali in Italia era data più dall’affarismo delle lobby che da una ponderata decisione di razionalizzazione della produzione energetica, rimane apertissimo il problema di quale dovrà essere il futuro dell’energia in Italia.
Del problema delle fonti energetiche e della loro crescente scarsità se ne parla fin dal 1971, quando la pubblicazione dei “I limiti dello sviluppo”, produsse la prima (e non smentita) analisi quantitativa degli scenari prevedibili nel prossimo futuro (che sarebbe oggi). Ma in Italia si è proceduto da un lato con un certo fatalismo (si troverà comunque al momento una soluzione adatta) e dall’altro con escamotage e soluzioni provvisorie. Ad esempio comperando l’energia all’estero a discapito di un ammodernamento delle reti.
Malgrado dichiarazioni enfatiche, non si è voluto mai seriamente affrontare con politiche adeguate quello che è il vero nodo (e anche la maggiore soluzione) del consumo di energia che risiede nell’aumento dell’efficienza e del risparmio energetico.
Accenno a due esempi:
1) dal 1973 ad oggi l’Italia ha subito un massicio incremento edilizio (in gran parte speculativo) che oltre a disastrare una fetta enorme di territorio e paesaggio italiano, è stato colpevolmente realizzato senza alcun criterio di risparmio energetico.
2) in Italia gran parte delle merci viaggiano su gomma con alti costi e con un costo energetico centinaia di volte superiore a quello di altri sistemi come treni e navi.
Non esiste quindi una soluzione a senso unico, orientata esclusivamente a sotituire un sistema di produzione energetica con un altro. Quello che bisogna sforzarsi di attivare è l’avvio di un sistema di produzione e sociale a bassa intensità energetica, dove l’obiettivo non può essere la semplice crescita del pil, ma una qualità della vita alta ottenuta con il minimo delle risorse naturali necessarie.