Colori
Stavo guardando il sito delle Libere Parole, aperto nel portale del Terzo Circolo Didattico di Pordenone nel 2005 (dopo aver cambiato tre hosting negli anni precedenti).
Riflettevo sul mio gusto estetico, sul gusto estetico in formazione dei ragazzi, sulle tecniche di e-writing, sulle nuove tecnologie oramai strumento primario di formazione nelle scuole, e sulla parola “accattivante”.
“E’ bello, lineare, estetico ma non accattivante”
“Usa più colori: sarà più accattivante”
Mi era stato detto quando ho installato il primo template. Bianco. Minimalista.
Digressando.
Scrivere per il web è un’arte (Plinio il Vecchio – Storia Naturale, 35 – non se lo sarebbe davvero immaginato di venir citato anche in questo) e saper leggere in web è senza dubbio un’ abilità cognitiva che s’apprende (quanti adulti si lamentano di non “riuscire a leggere” se devono leggere dal computer?).
Ci son siti e libri che ne parlano, forniscono suggerimenti, offrono ausili per i chi scrive per il web, ma non c’è nulla ancora su come educare i ragazzi ad usare la lettura nel web. Più facilmente si parla di podcasting, ma non di lettura.
A scuola ancora si progettano attività per incentivare la lettura ma ben presto dovremmo considerare anche l’educazione della lettura attraverso i mezzi non cartacei. A presto lo zaino sarà sostituito da un dispositivo per lettura degli e-book.
I ragazzi sono naturalmente abili verso i mezzi informatici (oramai le nuove generazioni vengono identificate con il termine “nativi digitali”), è impossibile tentare di negarlo. Qualche luddista si danna per tentare di inserire la marcia indietro, ma il futuro è arrivato già ieri, se non l’altro ieri.
L’editoria web, “accattiva” questi nuovi utenti con siti colorati, in movimento, pieni di musiche e “wah wah”… e pubblicità.
Ma, come i ragazzi fanno con i giocattoli, presto abbandonano anche i siti.
I mezzi informatici sono più accattivanti di un buon libro, ma sanno essere altrettanto evocativi?
“Accattivare” è davvero capacità di coinvolgere? E se sì, in quale misura, quanto profondamente e lasciano poi quale traccia?
Accattivandoli – catturandoli (“ad captivare”) – li si incattivisce, li si pone in cattività.
L’etimo della parola parla chiaro e chiaramente ci si possono leggere le implicazioni che ne conseguono.
Qualsiasi contesto mediatico sovraccarica fin alla nausea di stimoli visivi e sonori, non credo affatto che l’accattivare le nuove generazioni sia la strada più corretta per indurli ad un buon uso della lettura in web.
Per me, privare il web dell’evocazione di un foglio bianco è indurre in cattività l’immaginazione.
Imporre i propri colori è sovrascriverli a quelli che nascono da dentro.
Dopo qualche anno però, caduta inconsapevolmente nella girandola dei colori, in questa giostra di distrazioni, ho ceduto, e dopo aver cambiato vari template, sono arrivata a questo. Oramai vetusto e polveroso.
Ho cambiato template tre volte oramai: l’estetica nel web e le mode, corrono veloci.
“Libero di immaginare quello che non vedo” era il sottotitolo che oramai non c’è più; l’avevo scelto d’impulso: ne comprendo ora il messaggio che sottendeva.
Nello spazio, il vuoto non è mai vuoto: lo zen insegna.
Riempire, ad captivare, plagiare.
Il vuoto nel quale muoversi, per il quale decidere o meno i contenuti e la qualità degli stessi, un bianco da lasciare bianco o da colorare come meglio csi crede, è dovuto anche ai nativi digitali.
Sto smaltendo Libere Parole, il prossimo anno, entrando nell’organizzazione degli Istituti Comprensivi, non esisterà più. Vorrei tornare alle origini, vorrei ritornare al bianco.
Sto lavorando su due nuovi progetti.