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“Numero Undici è il mio libro più buio, quello più difficile da descrivere”. Jonathan Coe è tornato. E’ più malinconico, nero e riflessivo, ma mette sempre l’ironia e la risata al servizio della letteratura. Lunedì 21 marzo, in una calda e affollata Libreria Feltrinelli milanese, Coe si è raccontato a quei lettori che lo hanno sempre seguito, che hanno letto ogni suo romanzo e che hanno saputo aspettarlo durante ogni pausa o caduta.Coe ci parla di un romanzo in cui torna a raccontarci di voci fresche e giovani, voci grazie alle quali prova a dare nuova vita alle chiacchiere sulla politica, la società e quella quotidianità che sembra sempre più sfuggire al nostro controllo.Numero Undici è composto da cinque voci, che pian piano si vanno a fondere ed è popolato da uomini che si lasciano trascinare dal destino e donne che ci si aggrappano per non perdersi.Un romanzo infatti che vede ancora una volta protagoniste le donne, giovani donne, delle quali Coe ci descrive aspetti pubblici e privati, le cose perdute nella trama della vita e quella risata grazie alla quale mandano per un attimo in corto circuito il cervello, un attimo durante il quale tutto può succedere.
Coe, però, non racconta favole ai suoi lettori. Non pretende neanche di restituire al lettore una storia così tanto vera da apparire artificiosa. Coe ci racconta di vite, sorrisi e decisioni. Di una realtà che è tipica della finzione e che se non fosse per l’amore che lui ha nella scrittura, sarebbe perduta per sempre.
“In Numero Undici c’è un personaggio che ama dormire, anzi passa la maggior parte del suo tempo a dormire. Lo fa perché i suoi sogni bellissimi. Talmente belli che non vuole svegliarsi e dimenticarli”.Una vita messa al servizio delle storie. Storie di voci perdute. Voci che Coe ascolta nella sua quotidianità, ma che sceglie di restituirci come un meraviglioso sogno. Talmente bello che non avresti mai voglia di svegliarti.Alla prossimaDiana
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