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Nuova recensione Cineland. C'era una volta a New York (The Immigrant) di J. Gray
Creato il 24 gennaio 2014 da L'Immagine Allo Specchio1920. Ewa (Marion Cotillard) e Magda Cybulsky partono dalla natia Polonia per raggiungere gli zii che si sono stabiliti negli USA. Quando arrivano ad Ellis Island, i dottori scoprono che Magda è affetta da tubercolosi e per questo la trattengono mettendola in quarantena. Ewa, invece, viene bollata come donna di “dubbia moralità” per un episodio accaduto sulla nave rischiando di essere espulsa dal paese. Troverà sul suo cammino Bruno (Joaquin Phoenix), protettore e uomo di spettacolo, che grazie al suo denaro e alle sue conoscenze riuscirà a darle una possibilità di salvezza. Ewa dovrà scendere a compromessi con il mondo di Bruno per pagare le cure mediche alla sorella nella flebile speranza di un futuro migliore.
Se fosse un’opera letteraria questo film sarebbe un romanzo del XIX secolo. Uno di quei romanzi dove la storia è tutto e dove nella storia c’è tutto. Qualcuno, per descriverlo, ha azzardato il termine “melò” ed effettivamente ci troviamo di fronte ad un’opera dall’impianto narrativo classico (sia a livello di tematiche che a livello di trattazione) dove ci sono colpi di scena e situazioni al limite. Ma il melodramma cinematografico viene qui attualizzato grazie al portato contenutistico dell’opera, per un risultato assolutamente affascinante.
La trama romanzesca, insieme all’eleganza e all’intensità delle immagini, ci riportano al cinema più bello di Max Ophuls, non più di moda, certo, ma da sempre punto di riferimento per i suoi perfetti movimenti di macchina e per il senso della composizione. Come il maestro tedesco, James Gray dirige stupendamente (bellissimi anche la ricostruzione della New York d’inizio secolo, i costumi e la fotografia di Darius Khondji) una storia d’altri tempi scritta a quattro mani con Ric Menello dove ciò che ci colpisce è la complessità del tema trattato (il valore della scelta in relazione al momento e al contesto) e la caratterizzazione emotiva dei protagonisti.
La Cotillard dà vita ad un’immagine di donna granitica, pronta a superare ogni difficile prova che la vita le riserva, anche la più umiliante, pur di salvare la sorella (la sua famiglia) ancora prima che se stessa. Per sopravvivere dovrà per prima cosa scendere a compromessi, sporcarsi il corpo e l’anima, trovando sempre comunque la forza di rimanere coerente ed intellettualmente libera (dalle convenzioni e dalle figure maschili). Questo ne fa un personaggio complesso, quasi tolstoiano, che si impone come emblema di un’emancipazione femminile ante litteram raggiunta grazie alla forza di adattamento alle situazioni senza cedimenti a livello valoriale.
Da parte sua, Phoenix conferma di essere il miglior attore hollywoodiano (e forse mondiale) attualmente in attività, dando incredibile spessore alla figura di un ebreo che vive di espedienti fin da ragazzo e che, per questo, sa come destreggiarsi nello spietato mondo della New York d’inizio secolo. A differenza della sua controparte femminile, il suo personaggio ha imparato a non conoscere imbarazzi per raggiungere i propri scopi ma sarà anch’esso protagonista di una crescita spirituale che culminerà nell’estremo peccato (l’omicidio) e nella ricerca della redenzione.
Un percorso inverso a quello di Ewa, dunque, ma che si rivelerà complementare: se per salvarsi Ewa si è dovuta perdere attraverso Bruno, quest’ultimo si è invece potuto ritrovare solo grazie alla presenza di Ewa. La doppia maturazione, parallela durante lo svolgimento dei fatti, troverà un punto di incontro, per quanto solo momentaneo, in occasione dello splendido monologo finale di Bruno, culminante in uno split screen che ci ricorda il valore salvifico del sacrificio.
Voto: 4 su 5
(Film visionato il 22 gennaio 2014)
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