Anna Lombroso per il Simplicissimus
Immaginate di essere Alberto Sordi che la sera di San Silvestro, in smoking per il veglione, si imbatte nel malconcio che si lamenta sotto il monumento del re d’Italia. È sicuro che il vostro pellegrinaggio compassionevole di ospedale in nosocomio avrebbe ancora meno successo del suo, che finisce di nuovo sotto re vittorio emanuele, col malconcio abbandonato dove era stato rinvenuto. Forse se siete in vena di recare aiuto umanitario a tutti i costi, vi conviene emigrare con il vostro malconcio, portarlo in Franca (magari i fan della Tav pensano di farne un treno per ricoveri d’urgenza, una specie di treno bianco per Lourdes), o in Slovenia, o in Austria, evitando magari la Grecia che, così dicono ma non so se ci sia da crederci, sta messa peggio di noi.
Dal 25 ottobre entra infatti in vigore la direttiva 2011/24 che “definisce una cornice per i diritti dei pazienti nell’accesso all’assistenza sanitaria transfrontaliera; che garantisce la qualità e la sicurezza delle prestazioni di assistenza sanitaria fornite in un altro Stato dell’UE; e che promuove la cooperazione in materia di assistenza sanitaria tra gli Stati membri”. Ma l’emigrazione sanitaria, non è prevedibile che europei particolarmente spericolati vogliano sottoporsi alle nostre liste d’attesa, incontrerà molti ostacoli, anche a frontiere aperte. Da mesi in tutti i Paesi sono alle prese con adempimenti complessi: tariffari ancora da costruire, sistema autorizzativo da definire, certificati e fatture in tutte le lingue dell’Unione, punti di contatto e censimento delle strutture che erogheranno l’assistenza, che si dovrebbero concludere in raccordo continuo con i vari livelli amministrativi e territoriali.
L’import-export delle cure resta per ora un brand marginale. L’Italia al momento attuale è in saldo negativo per 25 milioni: i connazionali che vanno all’estero per curarsi sono più numerosi dei pazienti che arrivano da oltreconfine. In euro, circa 75 milioni in uscita a fronte di circa 50 milioni in entrata. Briciole, rispetto all’impatto in termini economici della mobilità interregionale italiana, che muove un giro da 3,7 miliardi di euro, in viaggi della speranza, ricerca di liste d’attesa meno disumane, esodo da ospedali talmente impoveriti da non garantire l’indispensabile, aspettative riposte in specialisti molto celebrati.
E c’è da capirlo, in presenza di un sistema sanitario che rappresenta il laboratorio sperimentale e sperimentato di voragini di bilancio, di spese inutili, di corruzione, laddove la libera concorrenza è costituita dai divari osceni nel costo delle prestazioni delle varie regioni e nel primato di inefficienza, lungaggini burocratiche, spinta alla legittima disaffezione degli operatori.
Ma torniamo al nostro malconcio. Speriamo che il suo sia un malore di lieve entità, una banale indigestione, un malanno di stagione. Perché invece se per caso lo hanno investito sul Lungotevere, c’è da sconsigliargli di recarsi, traffico permettendo, al Fatebenefratelli, quello dell’Isola Tiberina, con vari servizi chiusi, tra cui la dialisi, quattro attività sanitarie ridimensionate e 170 lavoratori a casa, secondo il piano industriale approvato dal cda dell’ospedale, che, se la Regione Lazio non troverà una soluzione entro la fine del mese, entrerà nella fase operativa. A chiudere, salvo un “miracolo”, saranno, oltre alla dialisi (che conta 60 pazienti), il Servizio psichiatrico di Diagnosi e cura (500-600 pazienti) e il Servizio trasfusionale, che ‘lavora’ circa 11 mila sacche l’anno, e serve anche altre strutture. Dicono i sindacati che a fronte di un volume di attività rimasto pressoché invariato, dal 2005 al 2012, l’ospedale ha subito un abbattimento tariffario e decurtazione di budget per un totale di 70 milioni, 9 milioni solo nel 2012. E dire che nei rpogrammi del Fatebenefratelli c’era un progetto di recupero del primo degli ospedali “sacrificati” sugli altari dello stato di necessità, il San Giacomo di via del Corso.
E non va meglio se il nostro malconcio ha uno sfogo, un fastidioso brufolo, perché soffre più di lui l’Idi, l’istituto dermatologico della Congregazione di quei Figli dell’Immacolata Concezione che hanno concepito una operazione per niente immacolata, appropriandosi di una cifra che si aggira intorno ai 14 milioni di euro e portando al disastro il fiore all’occhiello della sanità vaticana, doverosamente convenzionato con le Asl.
Per non parlare del San Raffaele, gioiello dell’immarcescibile e intoccabile ras delle cliniche Angelucci, che chiuderà 13 cliniche, mandando in mobilità duemila dipendenti e mettendo a rischio migliaia di pazienti ricoverati nelle strutture specializzate in riabilitazione, cui la Regione Lazio “nega” l’erogazione dei finanziamenti a suo tempo pattuiti.
Uniti nel collasso ospedali pubblici e strutture convenzionate, parlano lo stesso linguaggio, con le parole dello spreco, delle clientele, dei concorsi truccati, degli appalti opachi, degli incarichi oscuri. Secondo la Corte dei Conti cresce il costo medio degli assistiti, arrivato a 1.914 euro a paziente, e con un disavanzo complessivo nazionale di settore pari a 1 miliardo. Ma soprattutto “il settore sanitario continua a presentare fenomeni di inappropiatezza organizzativa e gestionale che opportunamente ne fanno un ricorrente oggetto ai fini di programmi di tagli alla spesa, mentre frequenti episodi di corruzione a danno della collettività continuano ad essere segnalati”.
Povero malconcio e poveri noi: la Lorenzin ha ritirato le dimissioni fingendo di credere alla promessa di non dare corso al taglio di 4,6 miliardi per ambulatori e farmaci, promessa subito mancata come annunciano oggi i quotidiani, e poco ci vuole per sospettare aumenti di ticket, riduzioni e contrazioni, ridimensionamenti e razionalizzazioni. L’intento esplicito per non dire dichiarato è probabilmente quello di rispondere con pragmatica determinazione agli indimenticati suggerimenti a togliersi di torno rivolti da Madame Lagarde ai vari pesi morti della società, vecchi, malati, così improduttivi che non sono utili nemmeno per l’auspicato prelievo forzoso. Ma soprattutto è quello cje abbiamo imparato a conoscere bene e che vale per tutti i settori della nostra società, scuole, spiagge, università, enti di ricerca, beni comuni, energia, acqua, beni artistici, paesaggio, isole, coste: impoverire, ridurre alla rovina, in modo che diventino facile preda per ogni scorreria, terreno di conquista a basso prezzo per ogni predone italiano o straniero, cassaforte spalancata per le mani rapaci di privati, cui offrire tesori, conoscenza, saperi, competenza a condizioni stracciate di liquidazione, in modo da promuovere forme di selezione antiche e tornate di moda.