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Sul Romanzo, pur essendosi quasi sempre dedicato alla narrativa, non vuole certo limitarsi a ciò e inaugura ufficialmente oggi la sezione poesia. Inizieremo con passi timidi e titubanti a inoltrarci su un settore che crea con facilità equivoci. Per quale ragione? Se è vero che oramai non si nega un romanzo a nessuno, in ambito poetico sembra che la quasi totalità della popolazione sia un groviglio di poeti recalcitranti. Poesie ovunque, un partorire di versi continuo.Come discernere? In quale modo provare a distinguere la poesia seria da quella meno seria, tentando di divenire più consapevoli nelle letture? Nello stile che conoscete di Sul Romanzo, qui non vi saranno dotti confronti accademici, anche se in realtà un paio di collaboratori potrebbero farlo con cognizione di causa, ma l'intento è di avvicinare le persone appassionate di poesia, e senza un percorso professionale in tale ambito, a testi che possano migliorare lo spirito critico. Oggi cominciamo con un'intervista ad Alessandra Conte.
A quale età ha scoperto la poesia in termini di lettura e quando ha iniziato a scriverne?
Devo ringraziare alcuni tra coloro che sono stati i miei insegnanti: un’ottima maestra elementare, Maria Marcante, e una brava professoressa di lettere alla scuola media, Annamaria Ferretto. La maestra ha contribuito a sviluppare intenso l’interesse per la lettura (non solo di poesia) fin dal primo approccio con le parole, nella stretta relazione che lega il bagaglio mnemonico con il processo di lettoscrittura. Alla scuola media ho potuto leggere molta poesia (e praticare tanta “parafrasi”…) e questo esercizio mi ha avviata all’autonomia nella scelta delle letture. Il vero e proprio incontro tra me e la poesia comunque coincide con il momento in cui ho avuto il desiderio di scrivere i miei primi versi: era aprile e avevo sette anni.
Se consideriamo come estremi l’istinto creativo e la razionalità consapevole, lei collocherebbe il suo modo di produrre poesia a quale distanza dai due?
Mi sento ancora una bestia che sputa magma, anche se cerco di individuare con lucidità ciò su cui devo lavorare.
I rivoli saranno infiniti, ma può individuare un vicolo con alcuni poeti che hanno avuto l’urgenza di destarla nel suo percorso poetico?
Più che i poeti stessi, hanno inciso molto anche i momenti in cui li ho letti. Se non fossi stata pronta, non avrei recepito ciò che mi hanno suggerito Mark Strand, Petrarca o Sivia Zoico.
Forse perché della fatal quiete tu sei l’immago a me sì cara vieni o sera, e improvvisa ci coglie la sera. Più non sai dove il lago finisca. Mondo, sii, e buono; esisti buonamente. Qual è il rapporto fra classici e contemporanei, ci indica un ponte possibile di dialogo fra loro?
Per rispondere mi è necessaria una premessa: ritengo che la poesia sia una terra senza nomi nel campo del linguaggio, che provenga dal reale e che abbia sede in un luogo dell’umano dove viene accatastato tutto ciò che, memorizzato, non sia parafrasabile. Questo luogo è collegato alla comunicazione (ai linguaggi), e fare poesia è una pulsione, una tendenza, una mania che coinvolge i nostri centri neuronali e che si lega anche ai contesti storici e sociali. L’essere umano ha quindi delle facoltà poetiche “oggettive” che, finché non verranno radicalmente modificate dalla tecnica, rendono l’uomo capace di esplicarle e custodire e testimoniare il suo tempo (umano) e di far fiorire questa testimonianza nella molteplicità del senso. Per me il ponte di dialogo tra classici e contemporanei si costruisce con la curiosità di scorgere proprio queste facoltà, spinte, tendenze dell’uomo, nel cogliere proprio questo nucleo poetico interiore, contemplando la diversità di stili ed epoche.
Di che cosa non può fare a meno mentre scrive? Ha qualche curiosità o aneddoto da raccontarci a riguardo?
Non posso fare a meno di una solitudine emotiva in cui le interferenze affettive non disturbino il canale. Mi spiego: scrivere, e cioè prendere in mano la penna, o talvolta digitare sulla tastiera del computer, è l’ultima cosa che faccio in quello che è il processo di scrittura. Anzi, se potessi non lo farei proprio perché forse sono terribilmente pigra. Quindi ascolto, non uso la penna, e seguo le voci, cioè compongo a mente ascoltando la voce o la polifonia di voci che mi si propongono all’orecchio interno. La messa in onda interiore ha durate variabili, da qualche giorno fino a diverse settimane, e si ripropone modificandosi finché sento che il pezzo è pronto e lo posso stendere. Così facendo però ho perso molte poesie, perché le ho dimenticate.
È noto che la poesia è letta pochissimo, la maggior parte delle persone la relega a rimembranze scolastiche, per quale ragione? È difficile? Manca di utilità? Qual è il suo pensiero a riguardo?
È letta pochissimo però è abusata. Ho sottolineato il mio percorso scolastico che si è incrociato con le mie inclinazioni, ma penso che sia una felice combinazione. La poesia non è difficile, richiede solo disponibilità, gioco, e tolleranza. Non la si legge ma la si usa, la si estrapola a proprio piacimento, oppure la si scrive, appunto, senza leggerla. Quindi non penso che sia inutile, ma che soffra molto di trascuratezza e mancanza d’educazione. Non è poi di per sé un male che sia legata a rimembranze scolastiche: a scuola si potrebbe fare molto se le relative politiche fossero più attente alla formazione (e non solo in poesia!) e se ci fossero più insegnanti interessati. In Irlanda per esempio c’è una associazione nazionale di poeti promossa dal ministero della cultura (Poetry Ireland) che si occupa anche della diffusione e della formazione poetica nelle scuole. Nei paesi anglosassoni c’è la figura del poet-in-residence, ossia di un poeta che opera nella scuola per diffondere la poesia e la scrittura. In tali paesi sono più frequenti i reading poetici nelle situazioni più varie: dal pub al festival, alla scuola e in altre istituzioni. La poesia che di solito viene propinata a scuola in Italia manca di contemporaneità e spesso sembra un dovere ministeriale: non si gioca, non c’è lavoro sulla lingua, e quindi non c’è possibilità di studio, conoscenza ed evoluzione dei linguaggi. E poi cosa me ne faccio io di Foscolo se lo percepisco semplicemente come un monumento cristallizzato che devo studiare perché qualcuno ha deciso che “è importante”?
Oggi non si nega un verso a nessuno, tanti scrivono poesia, magari avendone letta pochissima; immagino il suo stupore di fronte a certe Opere, vuole tentare una riflessione che confronti Poesia e poesia?
Se la gente scrive e continua a farlo, forse ne ha bisogno. Quella che lei definisce Poesia prolifererà di senso ad ogni lettura: si staglierà nella sua universalità, mostrerà lo spettro dell’immortalità e sarà veicolo di significati in ciò che non ha fine; la poesia sarà stata utile a uno.
Scrivere poesia le ha migliorato o peggiorato il percorso di vita? In altre parole, crede che la letteratura le abbia fornito strumenti migliori per portare in atto i suoi desideri?
Scrivere poesia mi ha reso la vita più interessante, mi ha dato la consapevolezza di avere un mezzo espressivo a disposizione per disporre della memoria, poter dire delle cose in modo efficace ed essere letta. Non mi aiuterà con altri desideri, ma è già qualcosa.
La ringrazio e buona scrittura.
Alessandra Conte è nata a Vicenza nel 1978. È diplomata in Pianoforte e in Didattica della musica al Conservatorio “A. Pedrollo” di Vicenza. È finalista e vincitrice di concorsi poetici nazionali e ha partecipato a numerosi reading, non ultimo, nel 2010 alla rassegna “Dire Poesia” di Vicenza. Sue poesie sono state pubblicate in antologie edite da LietoColle, da PoesiaFestival di Modena, FaraEditore e in numerosi blog e riviste. Con la raccolta Polittico è presente nell’antologia Dall’Adige all’Isonzo. Poeti a Nord-Est, edita da Fara Editore. Ha pubblicato nel 2009 la sua opera prima, Breviario di novembre (Raffaelli Editore), premio Guido Gozzano nello stesso anno. Nel 2010 è finalista al premio Camaiore - Opera Prima nonché premiato al concorso B. Manfredi.
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