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Nuova societa’: parita’ di fremere…

Creato il 12 marzo 2014 da Goodmorningumbria @goodmrnngumbria

paritàdi Costanza Bondi

… ovvero, l’alternanza uomo-donna nella composizione delle liste elettorali, per seggi paritariamente sessuati.

Alias, quote rosa stabilite per legge, al fine di abbattere quegli atteggiamenti ritenuti retrogradi, secondo i quali lacoscienza di voto vada consegnata per meriti, invece che a seconda di ciò che – per concessione di Madre Natura – ci si ritrovi in mezzo alle gambe. La parità, ovvio, è fondamentale. Sebbene, per chi scrive, il problema in nuce non riguarda tanto le quote, quanto piuttosto il cosiddetto welfare.

Partendo dal concetto della richiesta velleitaria, indipendentemente dai meriti, di una parificazione in termini numerici, si comunica già, di per sé, una ammissione di inferiorità, alla stregua di un’apartheid. Ci si sente minoranza, pertanto si pretende qualcosa che per legge, quindi inconfutabilmente, parifichi almeno a livello di quantità. Materialmente, quindi, così da rappresentare un ulteriore passo verso la misoginia. Quando, tanto più semplice sarebbe abolire le liste bloccate, cancellare il Porcellum e consentire direttamente ai cittadini di scegliere il/la candidato/a favorito/a. Ma, nel nostro Bel Paese, sembra che se non esistono contrapposizioni tra categorie, non si possa andare avanti: quindi, dopo eterosessuali contro gay, matrimoni religiosi contro unioni civili, esodati contro disoccupati e via dicendo… ecco, oggi, anche uomini contro donne. Per un eccesso del “politicamente corretto” che nulla toglie a quanto di abominevole si ritrova in ciò che vorrebbe combattere: la discriminazione di genere. Imporre per legge una partecipazione numerica a qualsiasi espressione della vita politica a seconda dell’appartenenza di genere non fa che mortificare la società civile stessa. Quando, invece, è proprio da lì che ci si dovrebbe ridefinire, appunto, come popolo civile, iniziando, nel sociale, ad abolire qualsiasi tipo di spot pubblicitario che propagandi o che, al contempo, si serva della mercificazione del corpo femminile. Ridefinire, inoltre, il welfare con tutta una serie di proposte utili al “genere” che ci si ripromette di coadiuvare, quali – per esempio – l’accesso agevolato agli asili nido, senza che una mamma che debba lavorare “anche fuori casa” si debba togliere il famoso rene per pagare le quote di iscrizione; la tutela previdenziale per malattie prettamente di genere, quali il cancro al senso e il cancro all’utero; l’assistenza in gravidanza completamente a carico dello stato e non fifty-fifty col privato cittadino.

A proposito di quest’ultimo punto, che mi sta davvero a cuore, chiudo con una domanda (ovviamente retorica): un privato cittadino che nei confronti di una dipendente in gravidanza si vede costretto a continuare a pagarle – durante tale assenza giustificata dal lavoro e fino a che il nascituro non abbia compiuto l’anno di età – i contributi e il tfr, la liquidazione e le ferie che nel contempo continua a maturare, alla prossima assunzione, secondo voi, privilegerà un uomo o una donna? Senza contare, poi, che se nel frattempo decide di non rimanere scoperto per le mansioni professionali che la partoriente svolgeva, è costretto ad assumere in sostituzione altro dipendente o, come avviene nella maggior parte dei casi, a servirsi di qualcuno che lavori in nero.

Qui lo stato deve intervenire, per dovere morale, oltre che gestionale.

Ma, certo, quanto proposto finora fa sicuramente meno eco rispetto a bagarre istituzionali, che di concreto hanno ben poco.



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