Cosa prevedeva il referendum piemontese contro la caccia e perché era importante?
La storia del referendum piemontese sulla caccia è lunga e travagliata - come lunghi e travagliati possono essere nel nostro Paese i processi democratici.
Essa ha inizio addirittura nel 1987, in seguito alla raccolta di 60.000 firme per la richiesta di un referendum mirato ad abolire alcune degli articoli della L.R. 60/79, che all'epoca regolava l'attività venatoria in Piemonte. La Regione approva la richiesta, ma modifica subito la normativa esistente, varando la L.R. 22/1988: in questo modo il referendum non potrà avere luogo, poiché la norma oggetto della consultazione è stata modificata.
Il Comitato promotore impugna la decisione della Regione e si rivolge al TAR. A partire da questo momento (per venticinque anni!), avrà luogo una serie di vicissitudini giudiziarie, che condurrà infine (con la sentenza n. 6156 del 2008) all'accoglimento delle istanze del Comitato promotore del referendum. Secondo il Tribunale di Torino, la richiesta di un referendum sulla caccia è legittama e la consultazione referendaria potrà e dovrà avere luogo.
Il referendum piemontese non chiede l'abolizione della caccia (approvata da una legge nazionale), ma mirava a un significativo ridimensionamento dell'attività venatoria. Infatti, se il referendum avesse avuto esito positivo, ben 25 specie di animali (fra cui la volpe, il daino, il camoscio, il cervo, il germano reale, la pernice bianca...) sarebbero state risparmiate dallo sterminio indiscriminato e selvaggio portato ogni anno nelle nostre campagne dai cacciatori. Solo 4 specie di animali (cinghiale, fagiano, lepre e mini-lepre) sarebbero risultate "cacciabili" e, in ogni caso, questa attività non avrebbe potuto essere praticata la domenica - quando cioè, nelle belle giornate d'autunno, si ha tutto il diritto di andare a passeggio per i boschi senza rischiare di essere impallinati!
Se le associazioni animaliste e anti-caccia avessero riportato una vittoria in seguito a questo referendum, è facile pensare che una simile consultazione avrebbe potuto essere riproposta in tutte le Regioni italiane - con grande timore delle lobby del settore venatorio.
In che modo è stato possibile per la Regione annullare il referendum?
Per il motivo sopra citato (i forti interessi economici e politici mossi dall'attività venatoria e dai settori della politica ad essa collegati), la Regione Piemonte e la Lega Nord in primis (che attinge buona parte del proprio elettorato proprio fra i cacciatori) hanno tentato in tutti i modi di boicottare il referendum, attraverso una mossa ben studiata: dapprima rifiutando di accorparlo alle amministrative e successivamente abrogando l'attuale legge regionale sulla caccia (70/96), rendendo così ancora una volta nullo il quesito referendario.
Quanto accaduto in Piemonte rappresenta una sconfitta non solo per chi si batte quotidianamente per i diritti degli animali, ma anche per la democrazia - che nel nostro Paese sembra essere sempre più compromessa. Come dichiarato da Daniela Casprini (presidentessa dell'Associazione Nazionale Vittime della Caccia), si tratta di «un bavaglio inaccettabile al diritto dei cittadini piemontesi di esprimersi contro la caccia».
Per questo invito tutti i miei lettori (anche e soprattutto quelli residenti in altre regioni d'Italia!) a diffondere quanto più possibile la notizia di questo duro colpo, inferto dalla Regione Piemonte al diritto alla democrazia delle persone e al diritto alla vita degli animali.