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- L'onniscenza in tema di razze di cani e gatti, a volte anche di altri animali.Un tempo conoscevamo il pastore tedesco, il cocker, il bassotto, il collie (volgarmente detto lassie), il setter, il mastino, poco altro. Poi si sono fatte strada altre razze che ormai un po' tutti sono in grado di identificare: i danesi, i labrador, i golden retriever, i boxer, i dobermann, i rottweiler, i chihuahua. Ora però alcune conversazioni canine ruotano attorno a liste di nomi lunghi come paragrafi, in lingue sconosciute ai più, talmente complessi da esser degni di un dottorato in biologia. Anch'io ho avuto un cane. Teoricamente avrebbe dovuto essere un setter irlandese, dal momento che entrambi i genitori erano in possesso di pedigree. In pratica però ne saltò fuori una bella bestia col corpo, la testa, le orecchione, l'agilità e la velocità di un setter, un po' più forte e robusto, ma col pelo nero, lucido e raso. Un esuberante, energico, bellissimo e simpaticissimo bastardo a cui ci affezionammo perdutamente. Senza nome altisonante quindi. Anzi, da buon bastardo, di nomi (propri però, non di razza) ne ebbe tre: Sandro alla nascita, Pablo all'ASL e Teo per gran parte della vita.
- Il pallino dei vini, possibilmente ufficializzato da certificato di sommelier. Di questa piaga abbiamo già parlato in un precedente post. La chiamo piaga perché oltre all'allargamento degli orizzonti in ambito enologico questa moda si è portata appresso un virus che ha messo al tappeto locali e tradizioni vecchi di decenni o addirittura secoli. Niente più osterie, trattorie, baretti tipici nei centri di molte città. Sostituiti quasi tutti da pretenziosi wine bar, ristoranti artificiosi e fighetti con Carte des vins che tutti commentano con spocchia e locali dai nomi tropicali e i piatti esotici, spesso contraffatti.
Questa dei vini l'ho chiamata moda, sì, avete capito bene, perché di un vezzo si tratta, anche se spesso viene spacciato - in maniera un po' subdola - per una vecchia tradizione nazionale.
- La passione per la cucina regionale (nel senso di proveniente da qualsiasi regione d'Italia che non sia la propria) o internazionale. Ristoranti a tema, ampia scelta di carissimi prodotti tipici nei supermercati o nei negozi di gastronomia, studio dei ricettari online, caccia agli ingredienti più ricercati e costosi. E così oggi i miei conterranei, i veneti, sono diventati eminenti esperti di cucina toscana, i toscani sfoggiano una conoscenza dettagliata delle specialità siciliane, i napoletani si dilettano con le delizie del Lazio, i piemontesi assaltano gli agriturismo pugliesi mentre gli emiliani varcano il confine per abbuffarsi nelle Marche (vabbè ho giocato con la fantasia ma avete capito cosa intendo).Per non parlare delle schiere di esterofili che si riempiono la bocca coi nomi altisonanti delle copie spesso malfatte delle specialità internazionale. Andiamo tutti al messicano! Stasera si cena marocchino da me! Oh guarda, ieri ho mangiato un sushi...Io le specialità thailandesi, malesi, cinesi, indiane, libanesi e giapponesi le mangio tutto l'anno, perché sono quelle più accessibili nei posti in cui bazzico e, soprattutto, perché lì sono autentiche! Ma appena torno in Italia, per tutta la durata della permanenza, a colazione, a pranzo e a cena, mangio ancora le stesse cose che mia mamma mi preparava quando avevo dieci anni.
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