[per iniziare nello spirito giusto il nuovo anno.]
RABINDRANATH TAGORE,
Nuovo
Anche qui si posano i raggi del sole!
In notte di tempesta paurosa,

nei colpi del tuono tremendo,
penetrarono le vette dei monti
attraverso l’immensa montagna,
spezzando il corpo di pietra,
vennero fuori da oscure cavità.
All’alba, presi dall’esaltazione,
portatori di nuovi sorrisi,
anche qui si posano i raggi del sole!
Spiando attraverso la porta
non tornano indietro,
non trepidano per la paura:
nel petto delle pietre spezzate
giocano in gioia,
vengono e vanno ridendo.
Guarda, guarda. Ahimè,
tutti i giorni passano,
eppure c’è chi intreccia
il tappeto delle erbe!
Estendendo viticci,
allungando le braccia,
coprono lo scheletro logorato:
vengono fiori, vengono foglie,
schernendo le tenebre
abbattono giù ridendo
le abitazioni silenziose e cupe
delle tombe degli ospiti senza speranza
del passato folgorato dalla saetta.
Dove erano tutte queste cose?
Chi ha portato loro notizie?
Se si fa un po’ di vuoto
nell’universo, le schiere di gioia
senza casa, non invitate,
vengono tumultuose,
costruiscono abitazioni.
Portano riso, portano canto,
portano nuova vita,
ed insieme i raggi del sole.
Come un bambino senza paura
ridono e cantano sempre,
non han tempo di piangere:
non han paura della materia
immensa e cupa
che getta ombre e oscurità.
Da ogni parte colpiscono
con piccoli sorrisi
ed infine la sconfiggono.

Ecco la pianura deserta,
la terra bruciata:
qui c’era il “vecchio”:
un giorno aveva qui
il carico della giovinezza,
riceveva il vento della primanvera.
Se è andato via,
se ha portato via con sé
canti, inni, risa, fiori, frutti,
perché ha lasciato indietro
ricordi tristi e vani,
rami aridi, foglie
e petali appassiti?
Forse vuole che nella foresta
bruciata gli uccelli cantino
come cantavano prima?
Chiamerà come prima,
con lo stesso nome ed amore?
Spirerà lo stesso vento el sud?
No, no, non può essere!
Il mondo è vita,
Non c’è posto per la morte!
Vieni o nuovo, vieni:
porta con te la gioia,
le tue risa, i tuoi canti:
fa fiorire nuovi fiori,
sorgano nuovi bocci,
porta nuova primavera.

e porti via tutto,
si cancelli il suo nome.
Ahimè, gioco d’altalena!
Uno viene e l’altro va,
piangendo arriva il sorriso.
Prima della fine dell’ultimo
singhiozzo del pianto
s’eleva, chi sa dove,
il suono del flauto.
Vieni, t’accolgo in pianto:
senz’altro in due giorni
s’asciugheranno i sacri
rivi di lacrime.
Stornato vago per il mondo:
le piccole gioie intrecciano
una prigione di felicità.
No, non mi addolorerò:
è venuta una persona nuova,
chi la disprezzerà?
Anch’essa un giorno andrà
assieme ai canti e alle melodie:
finiranno i due giorni di gioco.
Aprile 1885
RABINDRANATH TAGORE, “Nuovo“, in Duro e tenero, Fabbri Editori 1997; titolo originale Kori o Komol, 1886. Introduzione e traduzione dal bengali di P.Marino Rigon, in collaborazione con il Centro Studi Tagore di Venezia.
Per vita, opere e altre informazioni sull’autore: http://philomela997.wordpress.com/2012/12/06/vita/
