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Nuovo libro sull’attività anti-nazista di Pio XII

Creato il 25 gennaio 2013 da Uccronline

Il terzo reichFin dagli anni ’60 una determinata pubblicistica insisteva a presentare in negativo la figura di Papa Pacelli, lasciando trapelare una Sua sostanziale passività durante gli anni della seconda guerra mondiale, e una certa simpatia del Papa verso la Germania che, in periodo nazista, era dominata dalla croce uncinata.

Quello che, da un punto dell’analisi storica, risultava non chiaro era il perché ci si focalizzava tanto su Pio XII mentre, al contrario, si taceva su molte altre situazioni a dir poco drammatiche. Ormai, sia dagli studi storici che dalle inchieste giornalistiche e dalle indagini di alcuni ricercatori stavano emergendo delle realtà terribili:

-la non solidarietà di vari Paesi verso gli ebrei allo scoppiare della tragedia hitleriana;
-l’intesa commerciale di ditte americane con il governo del Terzo Reich. Ad esempio ad Auschwitz le calcolatrici usate nel lager erano targate IBM;
-le molte ombre gravanti sulla Svizzera: l’oro strappato agli ebrei era fuso in lingotti, questi venivano trasferiti nei caveaux elvetici e il governo nazista, con il liquido che riceveva, acquistava il necessario per proseguire la guerra (diversi processi sono stati celebrati al riguardo);
-le decisioni di morte di Stalin anche nei confronti dei cristiani (nell’ordine di milioni);
-i silenzi degli Alleati che, pur sapendo dell’imminente razzìa degli ebrei romani (e di altri ebrei) non informarono i diretti interessati per paura che venisse scoperta la loro rete di intelligence;
-i silenzi della Croce Rossa Internazionale (alcuni suoi membri avevano visitato dei lager);
-l’inattività della Resistenza davanti alla razzìa dei ebrei romani;
-il ruolo degli Alleati e quello di altri Paesi nel sostenere la via di fuga di criminali nazisti (detta anche ratline o Rattenlinien ovvero la “via dei ratti”), e nell’accogliere questi militari. Il loro impiego trovò una precisa valorizzazione sul piano della ricerca missilistica, in ambito militare, a livello di studi sanitari, e in area strettamente economica (i nazisti non avevano bisogno dell’appoggio del Vaticano semplicemente perché portavano con sé molto denaro e valori);
-gli esperimenti di eugenetica condotti in Paesi non nazisti;
-il collaborazionismo, le delazioni;
-i crimini di guerra degli Alleati;
-le violenze degli eserciti alleati sulle popolazioni civili; e altro.

In tale contesto era necessario aprire molti armadi e vedere che cosa realmente si dicevano tra loro i più alti vertici nazisti. Il prof. Pier Luigi Guiducci, docente presso tre università (Cattolica, Lateranense e Salesiana, autore di quasi un centinaio di libri a prevalenza storico-religiosa) lo ha fatto, impiegando sette anni. In fase iniziale ha creato una rete di referenti in Italia, Germania, Svizzera, Spagna, Regno Unito, Stati Uniti, Russia, Israele. Nell’ambito di questa rete sono state coinvolte anche alcune comunità ebraiche. Poi è stato organizzato uno staff (ad alto livello) di traduttori dal tedesco all’italiano. Successivamente i singoli testi sono stati studiati con il metodo comparativo (che fa allungare i tempi ma è il più sicuro): ad esempio un dispaccio segretissimo nazista veniva messo a confronto con la traduzione del medesimo effettuata dai servizi segreti e (quando possibile) con le testimonianze degli stessi protagonisti (contenute anche in diari, in relazioni e in libri di memorie).

Il lavoro è stato immane perché il materiale nazista non è catalogato in modo completo e ordinato. Tutto è legato al fatto che nel 1945 i primi ad arrivare a Berlino furono i sovietici. Essi presero quello che rimaneva negli archivi e – alla rinfusa – tutto fu gettato dentro grandi contenitori i quali, via ferroviaria, furono depositati in magazzini segreti di Mosca. Per un lungo periodo gli storici faticarono a convincere i sovietici ad aprire i loro archivi. I dinieghi erano continui. Avvenne però un fatto. Dalla Germania dell’Est, i servizi segreti chiesero un dossier contenente in copia tutto quello che i nazisti affermavano nel più totale segreto su Pio XII. Mosca mandò il fascicolo. Con il crollo del muro di Berlino gli archivi di Berlino-est confluirono in quelli di Berlino-ovest. Fu così possibile agli studiosi arrivare a leggere quanto riguardava Pio XII.

I risultati di questo lavoro sono ora pubblicati dal prof. Guiducci nel volume: Il Terzo Reich contro Pio XII. Papa Pacelli nei documenti nazisti(prefazione del padre Peter Gumpel SI, San Paolo, Cinisello Balsamo, gennaio 2013, pagine 376, euro 18). Si stanno ora preparando le edizioni in lingua inglese, spagnola e francese. A questo punto ci si può chiedere: quali sono gli elementi più qualificanti dell’opera?

Il lavoro, prima di tutto, dimostra che Pio XII:
-non fu un Pontefice passivo (le spie raccontavano di sue arrabbiature a motivo del fatto che tutti gli aiuti alla Polonia erano bloccati dai nazisti);
-non fu incapace di reagire (fin da quando era Segretario di Stato seppe ribattere punto per punto ai vertici del Terzo Reich);
-non fu incerto nell’ora delle decisioni (impartì direttive per resistere alle violenze);
-non fu arrendevole con i nazisti (sono stati pubblicati i documenti inerenti il Nunzio a Berlino, SE Mons. Orsenigo);
-non fu spettatore immobile davanti alla razzia degli ebrei romani il 16 ottobre del 1943 (si contano ben cinque interventi, ed uno in particolare riuscì a fermare il rastrellamento);
-non fu inadatto a sostenere una rete di solidarietà (tutti i documenti consultati attestano un collegamento diretto e indiretto con il Vaticano nelle azioni a sostegno dei perseguitati).

In tale contesto, dai dispacci nazisti, risulta un odio dei vertici del Terzo Reich verso Pio XII. Tale intima avversione era legata all’atteggiamento del Pontefice. Egli non spezzava alcuna comunicazione con la Germania (per salvaguardare quel bene che ancora si poteva realizzare), ma contemporaneamente era fermo in una resistenza alla dottrina nazionalsocialista, ai metodi hitleriani, alle decisioni di guerra, alle operazioni di sterminio. I nazisti questo lo sapevano. Per questo costruirono intorno a lui una rete di spionaggio che, comunque, non riuscì a penetrare fino in fondo la decisionalità di Pacelli.

Luca Pavani


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