Rappresentazione artistica di una stella che si allontana a ipervelocità dalla parte visibile di una galassia simile alla Via Lattea, addentrandosi nell’alone di materia oscura. Crediti: Ben Bromley, University of Utah
Salt Lake City, capitale dello Utah e già sede dei Giochi olimpici invernali nel 2002, festeggia in questi giorni un altro primato. Un gruppo di ricerca cino-statunitense, guidato da astronomi della University of Utah, si è cimentato nell’inseguimento delle rarissime stelle iperveloci, riuscendo ad acchiaparne una con caratteristiche tali da far guadagnare alla squadra tre posti sul podio: medaglia d’oro per la più vicina, d’argento per la più luminosa e di bronzo per la più grande. I risultati sono stati pubblicati recentemente su Astrophysical Journal Letters.
Dalla scoperta della prima, nel 2005, sono state individuate finora nella nostra galassia una ventina di stelle giganti blu iperveloci, presumibilmente originate dall’interazione tra una coppia di stelle e il buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea. In pratica, quando una delle due stelle viene risucchiata nel campo gravitazionale del buco nero, si verifica un effetto fionda per cui la compagna viene scagliata verso l’esterno della galassia a velocità prossime ai 1.000 km al secondo. Più recentemente sono state scoperte altre 20 stelle iperveloci con caratteristiche diverse, più piccole e che non provengono dal centro galattico, il cui meccanismo “di lancio” è ancora da scoprire.
La nuova stella iperveloce, denominata LAMOST-HVS1, fa parte del primo gruppo ed è stata scoperta durante un vasto studio sulla distribuzione delle stelle nella nostra galassia condotto con il Large Sky Area Multi-Object Fiber Spectroscopic Telescope (LAMOST), localizzato non lontano da Pechino.
LAMOST-HVS1 viaggia solitaria alla ragguardevole velocità di 620 km al secondo rispetto al Sole, che scendono a 477 km al secondo se come riferimento si prende invece il centro galattico. Nonostante, come si è accennato, sia la più vicina stella iperveloce osservata, si trova comunque a 42.400 anni luce dalla Terra, nonché a circa 62.000 anni luce dal centro galattico, al di là e al di sopra del disco di materia visibile da cui è stata precocemente espulsa. D’altra parte, benché abbia una magnitudine di circa 13 – come dire 630 volte più debole delle stelle più fioche visibili ad occhio nudo – risulta tuttavia la seconda più brillante nella sua categoria. Mentre, con una stazza di nove masse solari, si piazza buona terza nell’esigua lista di consimili. Anche se ha percorso molta strada, la nuova iperveloce è veramente una giovinetta, essendo nata probabilmente solo 32 milioni di anni fa. Ma non vorremmo fare cambio con il nostro Sole, vecchio di 4,6 miliardi anni, perché LAMOST-HVS1 è quattro volte più calda e circa 3.400 volte più luminosa, se vista dalla stessa distanza.
A questo punto, qualcuno potrebbe chiedersi se ci sia qualche possibilità che il buco nero supermassiccio al centro della nostra galassia possa, un giorno, scagliare una stella a ipervelocità in direzione della Terra. “Non proprio”, è la paziente e precisa risposta di Zheng Zheng, professore di fisica e astronomia alla University of Utah e leader della ricerca. “In primo luogo, gli astrofisici ritengono che venga lanciata in ipervelocità solo una stella ogni 100.000 anni. In secondo luogo, le possibili traiettorie delle stelle vicine al buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea non lasciano presagire alcun pericolo, caso mai qualcuna di loro diventasse una stella iperveloce in futuro”.
Queste particolari stelle, spiega poi Zheng, sono certamente interessanti per il meccanismo con cui si genera la loro straordinaria velocità, ma ancora di più perché, viaggiando attraverso l’alone di materia oscura che sappiamo circondare la nostra galassia, la loro velocità e traiettoria possono svelarci qualcosa proprio sulla materia oscura.
Per saperne di più:
- L’anteprima dell’articolo “The First Hypervelocity Star from the LAMOST Survey”, di Zheng Zheng, Jeffrey L. Carlin, Timothy C. Beers, Licai Deng, Carl J. Grillmair, Puragra Guhathakurta, Sébastien Lépine, Heidi Jo Newberg, Brian Yanny, Haotong Zhang, Chao Liu, Ge Jin, e Yong Zhang
Fonte: Media INAF | Scritto da Stefano Parisini