Il 70% dei bolognesi non è per nulla turbato dal fatto che il Comune finanzi le scuole paritarie (usando lo 0,8% del bilancio totale del Comune), è stato dimostrato nel recente referendum promosso da estremisti di sinistra costato 300mila euro (pagati dai cittadini). Come abbiamo già ricordato la questione di finanziare o meno le scuole paritarie è un problema solo ed unicamente italiano in quanto nel resto d'Europa questi istituti sono integralmente (o in gran parte) finanziati dallo Stato.
Addirittura negli USA arrivano proposte per finanziare anche le scuole private "pure" (non solo quelle paritarie), in quanto si risparmierebbe e si guadagnerebbe in qualità dell'istruzione e di educazione comportamentale. Lo ha dimostrato una una recente meta-analisi, pubblicata dalla rivista "Peabody Journal of Education", e condotta da William Jeynes, docente di Education presso la California State University su 90 studi che mettono a confronto le scuole religiose private, le scuole pubbliche tradizionali e le charter schools, mostrando che gli studenti danno il meglio, dal punto di vista accademico (rendimento scolastico) e comportamentale, quando frequentano le scuole private religiose.
Più concretamente e tradotto in numeri più tangibili: gli studenti che frequentano le scuole private religiose raggiungono gli adeguati livelli di istruzione circa dodici mesi prima di coloro che frequentano regolarmente le scuole pubbliche. Inoltre, gli studenti delle scuole religiose sono esposti a meno problemi comportamentali (confrontati per status socio-economico, razza e sesso), minor atti di bullismo, più bassi livelli di abuso di droga e una maggiore armonia razziale rispetto agli studenti delle scuole pubbliche. L'autore dello studio ha dunque invitato a finanziare anche le scuole religiose perché "risultano essere molto più efficienti rispetto a quelle pubbliche, gli stati risparmierebbero attuando programmi che finanziano la frequenza dei bambini di queste scuole".
Forse è per questo che il 43% dei cittadini francesi, secondo un sondaggio di La Croix e Opinion Way, vorrebbe iscrivere i figli a una scuola cattolica paritaria. Secondo il 65%, inoltre, è giusto che lo Stato finanzi le scuole cattoliche perché "il loro insegnamento contribuisce al servizio pubblico di insegnamento". La scuola cattolica offre un insegnamento di qualità (80%), lascia uno spazio importante alla dimensione educativa (80%) ed è aperta sia ai non credenti che ai ragazzi che appartengono ad altre religioni rispetto a quella cristiana (78%). Nel 2011, per citare un altro esempio, è stato verficato dall' Office for Standards in Education, Children's Services and Skills (OFSTED) che le scuole cattoliche di Inghilterra e Galles offrono una migliore istruzione rispetto ad altre istituzioni a tutti i livelli, soprattutto nello sviluppo personale degli studenti.
Questo è quanto accade all'estero. Tornando alla nostra Penisola e al nostro misero referendum bolognese contro la libertà d'educazione e la legge Berlinguer (10 marzo 2000 n. 62), osserviamo con rammarico che c'è anche qualcuno che parla di "vittoria" del Comitato Articolo 33. Tuttavia Stefano Zamagni, ordinario di Economia politica all'Università di Bologna, ha spiegato: "Il problema è che i referendari continuano a leggere l'esito di questo referendum con l'occhiale tipico delle elezioni politico-amministrative, ma questo vuol dire continuare a disinformare la gente. Mentre nel voto politico o amministrativo chi ottiene un voto in più ha vinto, questo era un referendum consultivo e quindi chi lo ha indetto, per dire di aver vinto, doveva stravincere. Chi convoca un referendum, per ottenere il risultato desiderato deve poter dire che almeno il 60-70% dei cittadini è stato favorevole e ha espresso il suo voto secondo l'intenzione referendaria. Invece, si è visto che solo il 16,8% dei bolognesi è per abrogare la convenzione". Chi voleva votare contro le paritarie, modificando lo status quo delle cose, è andato a votare ed è una netta minoranza.
Ai tantissimi esperti che si sono schierati contro i giacobini anti-paritarie, elencati in questo articolo, si sono aggiunti post-referendum anche Stefania Giannini, rettore dell'Università per Stranieri di Perugia, la quale ha parlato di un "tentativo fuorviante e ideologico che ha visto protagonisti i suoi promotori nell'azione di voto - come dimostrato dalla bassa affluenza dei votanti - e grandi esclusi i cittadini che hanno implicitamente premiato il sistema integrato vigente". Ha quindi invitato a sfruttare questo esito positivo del referendum per inaugurare "quella rivisitazione coraggiosa e visionaria di cui la scuola italiana ha drammatico bisogno", ovvero una concessione di "maggiore autonomia finanziaria agli istituti scolastici, rivisitare il sistema di finanziamento e di contribuzione fiscale e permettere alle famiglie di scegliere a chi destinare le proprie risorse per la formazione dei propri figli, ispirandosi ai principi di libertà di coscienza, di orientamento culturale e filosofico e di ricerca del miglior modello educativo possibile. Allo stato attuale, le famiglie italiane che scelgono una scuola paritaria pagano due volte: la retta prevista e le tasse già versate nella fiscalità generale". Un maggior finanziamento alle scuole paritarie, così da portare a pieno compimento la legge 62/2000 lo augura anche Luigi Morgano, segretario nazionale della Fism (federazione materne paritarie).
Andrea Simoncini, ordinario di Diritto Costituzionale all'Università di Firenze, ha spiegato che Stefano Rodotà e i promotori del referendum hanno testimoniato "una lettura sbagliata e anacronistica del testo fondante della nostra Repubblica [...]. Chiunque abbia studiato la Costituzione sa bene che il "senza oneri per lo stato" non voleva impedire allo Stato di sostenere le scuole nate dalla società civile". La chiave giusta di lettura è questa: "le scuole che vogliono ottenere il riconoscimento e il sostegno statali devono obbedire alle regole generali della Repubblica" e queste vengono chiamate paritarie. Chi ha indetto il referendum ha confuso questi istituti da quelli privati puri. Privare allo Stato di aiutare chi collabora al dovere pubblico dell'educazione "è una posizione ideologica che penso oggi non abbia più seguaci nemmeno a Cuba. Forse in Corea del Nord". In ogni caso il referendum è privo di valore ed è stato posto in maniera sbagliata, ha concluso, "se fosse stato un referendum abrogativo, anziché propositivo, sarebbe stato sicuramente bocciato sul piano della costituzionalità". Anche lui ha ricordato che "i genitori che scelgono di mandare i propri figli alle scuole paritarie pagano due volte per l'istruzione: una con le tasse come tutti e l'altra con la retta scolastica. Perché i referendari non lo dicono?".
La redazione