Capita spesso che si riscopra l'orgoglio italiano, dell'italiano del fare, quello di poche parole che non vende specchietti per le allodole, quando muore qualcuno. Così i trentamila che ieri ad Alba hanno salutato Pietro Ferrero l'imprenditore morto nei giorni scorsi in Sud Africa, rampollo della famiglia che costruì le sue fortune sulla Nutella, hanno avuto il pregio di farci riscoprire l'orgoglio industriale italiano. Apre il cuore vedere ricostruita sui giornali (bello ad esempio l'articolo di Aldo Grasso sul Corriere) l'epopea di una avventura senza eguali come quella dei Ferrero, di Alba e delle Langhe, che hanno saputo conciliare territorio e industrializzazione, con quell'illuminismo imprenditoriale che parte da un presupposto: io cresco se insieme a me cresce il territorio e la sua gente.
Ci riempie di orgoglio, ma ci apre sotto i piedi una voragine dettata da una domanda inquietante: dove è finito tutto ciò? Dove è rimasto quell'illuminismo industriale che fa crescere le persone e le comunità? E' stato dilapidato nella finanza, annegato nella globalizzazione. I cattivi maestri in questa Italia sempre più terra di conquista non mancano (il caso Parmalat è lì a raccontarci un'altra storia di avidità e di incapacità), tanto che storie come quelle della Ferrero finiscono per diventare quasi vicende mitologiche.
Non è bello che un Paese moderno viva di troppi miti, è il segno che nutre dei sogni che sa di non poter più realizzare. Tempo fa raccontai in questo blog la storia di Adriano Olivetti che a Ivrea costruì una fabbrica che sembrava una grande famiglia in grado di far crescere un territorio e una nazione. Il mito dell'Olivetti sappiamo tutti come è finito e ieri il fratello di Pietro Ferrero, Giovanni ha spiegato che nel nome di Pietro la Ferrero continuerà a costruire pagine di successo, a tener vivo l'orgoglio di una famiglia e quello di un Paese.
E l'auspicio di tutti. Non si può vivere senza Nutella.
LEGGI QUI UN'INTERVISTA A PIETRO FERRERO
Magazine Cultura
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