20 MAGGIO – Diciamolo francamente: i bei tempi della salvezza festeggiata sotto la statua di Carlo Felice da orde di tifosi rossoblù non esistono più. La certezza matematica della permanenza nella massima divisione, ottenuta alla fine del mese di aprile grazie alla vittoria contro il Parma, è stata accolta con un laconico “era ora”; quasi come una liberazione. E già, perché proprio di liberazione si parla, dopo una via crucis lunga e tortuosa che ha portato il Cagliari a un mesto sestultimo posto a quota 39 punti. Sotto, a parte le tre retrocesse, solo il Chievo – il quale si è aggrappato all’ultimo salvagente proprio in Sardegna – e il neopromosso Sassuolo. Quello appena conclusosi è stato una campionato difficile, ingarbugliato per quanto riguarda il gioco espresso, tra i più sofferti degli ultimi dieci anni e costantemente attanagliato dalla solita questione stadio. Un po’ come l’anno scorso, si potrebbe dire. Ma se nel 2012\2013 in risposta ai ceffoni di Prefettura, Amministrazione Comunale, Commissione Provinciale di Vigilanza e compagnia bella tutto il gruppo (squadra e supporters) ha mostrato una coesione e una compattezza oltre l’inverosimile – anche dopo i fattacci legati allo stadio Is Arenas – quest’anno l’arma dell’unità è stata alquanto spuntata. Un presidente, umiliato dalle mille recenti vicissitudini, deciso a vendere la sua Cinquecento per guidare la nuova Ferrari del Leeds United; una squadra che si innervosisce e tra cessioni fondamentali (il nome di Radja Nainggolan dice tutto), un gioco arrendevole, infortuni, esoneri e squalifiche perde pezzi; i senatori che partita dopo partita assorbono il nervosismo di un’intera società e fanno da parafulmine; e soprattutto tifosi che non ne possono più e ogni domenica gridano a gran voce “basta insultare un’intera città”. È questo il quadro sintetico dell’annata 2013\2014 della squadra isolana, scampata alla Serie B solo grazie alla forza di volontà di tutti e a qualche accorta scelta tecnica.
Ma come sarà il Cagliari della rinascita? Probabilmente mister Pulga – ora come ora molto più sicuro della sua panchina rispetto a qualche settimana fa – potrebbe fare a meno di qualche pezzo pregiato come Ibarbo, Pinilla e il cortegiatissimo Astori, ma forse avrà l’onore e l’onere di valorizzare qualche giovane di belle speranze, come Silvestri e Loi. Per quanto riguarda il caso Cossu, il cui futuro in Sardegna appare nebuloso, tutto può essere, ma nessuno è capace di immaginarlo con un’altra maglia che non sia quella dei Quattro Mori.
Ma il fronte più caldo è indubbiamente quello relativo alla cessione della società, con il patron Cellino sempre più in procinto di vendere, ma non di svendere. L’anonima cordata americana infatti non ha più l’esclusiva e l’inserimento nella trattativa della Fluorsid Group di Tommaso Giulini – realtà italosvizzera leader a livello internazionale nel settore dell’estrazione, trasformazione e commercializzazione di derivati del fluoro, altri minerali, metalli e prodotti chimici – potrebbe costringere Luca Silvestrone, portavoce del gruppo d’oltreoceano, ad aumentare l’offerta (si parla di una cifra molto vicina agli 80 milioni) per l’acquisto della società, del centro di Assemini e forse dei terreni elmensi di S.Caterina. Ovviamente al primo posto nella “lista della spesa e delle cose da fare”, il nuovo stadio: un impianto futuristico da fare accapponare la pelle, con il nome dell’architetto Dan Meis ad aprire scenari da sogno. Una domanda sorge spontanea: il vecchio S.Elia, cantiere a cielo aperto, che fine farà? Per ora il via libera dato lo scorso venerdì dalla Commissione Provinciale di Vigilanza per il progetto di ampliamento dell’impianto di via Magellano a 16mila posti rimane l’unica preziosa gocciolina di certezza in un mare di punti di domanda.
Gianmarco Cossu
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