Il Calendario del Cibo Italiano è arrivato alla fine del primo mese di vita e dopo gli Avanzi, il Maiale e gli Agrumi questa settimana si affronterà la Cucina Ebraica, che mi vede ricoprire il ruolo di Ambasciatrice, e fin da ora vi invito a postare le ricette della vostra famiglia che sanno riscoprire i profumi ed i sapori della contaminazione, visto che in quasi tutte le città italiane era presente un Ghetto il quale, nel corso dei secoli, ha interagito e si è confuso con gli usi ed i costumi del luogo che l'ha accolto, mantenendo comunque forte la propria identità.
Il progetto per il 2016 dell’Associazione Italiana Food Blogger sarà una grande raccolta su web, e quindi accessibile a tutti, che saprà accompagnare il lettore giorno per giorno, offrendogli le specialità gastronomiche del nostro Paese e raccontandogli le storie dei personaggi che hanno fatto grande nel mondo la sua cultura alimentare, da Apicio alle testimonianze di nonne e zie. Il percorso gastronomico si svilupperà in 366 Giornate Nazionali e 52 Settimane, ognuna dedicata ad un tema diverso: saranno con noi in questo lungo e goloso viaggio degli Ambasciatori, diversi per ogni Giornata Nazionale e per ogni Settimana a tema, con i loro post e ricette che si potranno leggere sia nei singoli blog che in quello di Aifb.
Nel post pubblicato oggi in Aifb troverete alcune informazioni sulla cucina ebraica: la Kasherut e l'osservanza delle molte feste a carattere religioso che raccontano di un amore molto forte per la convivialità e la condivisione, dove la tavola assume la valenza di un altare, arricchito quindi con oggetti preziosi e pietanze dalle molte simbologie. Nel mio blog, inoltre, nel corso del tempo sono state pubblicate molte ricette di origine ebraica.
Moltissimi sono i piatti che a Venezia nel corso del tempo hanno caratterizzato questa golosa contaminazione, tanto da non sapere più con certezza dove inizia la cucina veneziana e dove finisce quella ebraica, in uno scambio continuo di ingredienti e spezie, di tecniche e di riti. Considerato il maiale, ed i suoi derivati, impuro dalla Kasherut diventava imperante trovare un animale dell'aia che potesse essere utile quanto il suino, del quale, come ben si sa, si utilizza tutto. Ecco allora la scelta ricadere nell'oca, una protagonista della corte veneta, dalle grandi dimensioni, abbastanza facile da allevare e dalle molteplici qualità, visto che, come per il maiale, anche dell'oca non si getta nulla, a parte il famoso "fegato grasso" che, grazie ad una ritrovata sensibilità verso questo elegante animale, viene considerato un ingrediente poco etico, visto il modo in cui viene ottenuto, ingozzando il povero animale fino alla morte.
Il fegato d'oca, proprio per la sua capacità di restituire piatti sofisticati, era molto gradito sia dagli antichi greci che dai romani che avevano imparato a conoscere l'oca dagli egizi, per loro un animale divino: rappresentava infatti Geb, dio della Terra e padre di Iside ed Osiride. La Legge Salica (VIII sec. d. C.) prevedeva la pena di 120 denari per il furto di un’oca e Carlo Magno nel Capitulare de Villis (810 d. C.) imponeva di tenere almeno 100 polli e 30 oche per fattoria. L’allevamento dell’oca aumenta di importanza nel tardo Medioevo e nel Rinascimento con l’insediamento di comunità ebraiche nei territori di Venezia, Ferrara, Mantova, dove la liberalità e la tolleranza dei governanti garantiva sicurezza anche dopo gli editti di Ferdinando il Cattolico contro gli ebrei. Nelle più prosaiche campagne venete si è sempre allevata l'oca bigia e l'oca pezzata grigia e bianca, soppiantate nel tempo dalle grandi Romagnole bianche. Ogni cascinale di campagna ne aveva un gruppetto che razzolava sull’aia pronto ad accogliere in modo agguerrito gli estranei, come ben sapevano i Galli i cui movimenti sospetti sotto le mura capitoline finirono per essere scoperti dalle oche sacre del tempio di Giunone che senza tanti complimenti diedero l'allarme: il console Marco Furio Camillo, con i romani assediati, respinse l'attacco e le oche entrarono nella storia. L'oca era amatissima anche dai Celti che la consideravano un animale simbolo "dell'aldilà e guida dei pellegrini" e siccome San Martino è anche il santo protettore dei viandanti, oltre che dei fuggitivi e dei pastori, ecco un'altra spiegazione alle molteplici che vedono l'11 novembre come piatto d'eccellenza per la festa del santo.
Dall'oca si otteneva davvero di tutto, non solo morbide e candide piume, ma anche carne e grasso dalle indubbie qualità nutrizionali e che era possibile conservare per molti mesi, come i salami ed il prosciutto, garantendo così, come con il maiale, una riserva importante di cibo. Una conserva particolare ottenuta con le carni d'oca è appunto l'oca in onto, diventata nel corso degli ultimi anni anche Presidio Slow Food: Giuseppe Maffioli, un incredibile gastronomo padovano, nei suoi libri di ricette chiama l’oca in onto in due modi: “Oca in pignatto I” quella secondo la classica ricetta trevigiana della conservazione dei pezzi di oca previa cottura; e “Oca in pignatto II” quella che prevede la conservazione delle carni crude previa salatura ed affumicatura. L'oca in onto era una preparazione curata dalle donne, come la gestione dell'aia in generale, e consentiva di recuperare i tempi di lavoro rarefatti tipici dell'autunno per avere a disposizione nella bella stagione, quando le filande con i bachi da seta, l'orto e i campi richiedevano cure ed impegno che duravano tutta la giornata, ottima carne rigenerabile facilmente a bagno maria. Un piatto antesignano della carne in scatola, quindi. La ricetta che vi propongo oggi vi permetterà di preparare facilmente l'oca in onto, senza la salatura e l'affumicatura, che prevedono dei tempi più lunghi di lavorazione, così che in piena primavera, durante il 25 aprile, potrete godere del piatto del Doge, i Risi e Bisi, arricchito con un po' di oca, sostituendola al prosciutto. OCA IN ONTO Ingredienti Un'oca media o alcune parti di essa il suo grasso alloro, pepe in grani, bacche di ginepro, rosmarino e salvia vino bianco secco sale in fiocchi Preparazione In una casseruola dal fondo pesante o in una cocotte rosolate i pezzi di oca fino a farli dorare completamente, sfumate con un po' di vino bianco, unite un bouquet garni di rosmarino e salvia, unite le bacche di ginepro ed il pepe in grani, coprite e continuate la cottura in forno (170°) per almeno 3 ore. Sfornate, eliminate la spessa pelle, disossate i pezzi d'oca, tagliateli a tocchetti, filtrate il grasso, trasferite la carne in vasetti di vetro sterilizzati, con una o due (attenzione: l'alloro appena colto ha un profumo intensissimo e potrebbe risultare sgradito, usatelo con parsimonia) foglie di alloro. Chiudete bene i vasetti e conservare in frigo. E' possibile procedere alla sterilizzazione, coprendo d'acqua e facendo bollire i vasetti per circa 30': la carne così si conserverà (come nelle campagne quanto si usava il "pignatto", un contenitore in terracotta) per alcuni mesi.