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Occupy London 15/10

Da Aoirghe

 

Occupy London 15/10

Raccontare e basta, o raccontare e riflettere. A caldo si vorrebbe solo andare a caccia di parole esatte: rivivere il freddo di queste due giornate d’ottobre, l’aria che sa di riscaldamenti accesi e l’imponente sguardo della cattedrale di St Paul sopra tutto, faro di religiosità (e moralità?) nel cuore della finanza e della ferocia londinesi, la City. A freddo – e freddo fa, appunto – resta un turbamento nuovo, che fatica a districarsi tra le mille considerazioni e le attese di quello che forse ancora verrà: la commozione nel vedere quattromila persona accerchiare la cattedrale e così il London Stock Exchange, la borsa inglese, tra loro ragazzi, ma anche madri e padri con bimbi nei passeggini, e donne brizzolate con i loro attempati compagni, le grida scritte dei cartelli, I’m not antisystem, the system is antime, o bankers are the real looters; la polizia che fa cordata ma non spinge, perché qui in UK l’ordine non viene mantenuto necessariamente a manganellate; i poliziotti, sempre, che a sera inoltrata sono ancora in piedi, a chiudere l’accesso verso l’accampamento dei manifestanti, e scherzano e sorridono. La disarmante frase di uno di loro, guance piene e aria stanca: I’m not here because I disagree. Il London Stock Echange, obiettivo della manifestazione, resterà per tutto il giorno inaccessibile: sia la facciata che da su Newgate Street che il lato principale, su Paternoster Square, sono protette da linee di polizia permanenti. Ma gli indignati inglesi, già nel tardo pomeriggio, saranno riusciti nel loro intento: occupare le gradinate della cattedrale, e bloccare per ore Ludgate Hill, la grande via che costeggia il Tamigi e scende verso il centro: con le camionette della polizia di traverso, nessuno passerà, inclusi gli autobus e gli intoccabili turisti. Di questo sabato di passione si raccolgono immagini, e quasi zero didascalie: i figli dei manifestanti sventolano bandierine e sorridono della loro tragedia futura, ma hanno solo sei anni e oggi c’è troppo sole, per capire davvero; il camioncino Volkswagen bianco e verde che spunta intorno alle tre, dal quale, incerta sui propri passi, scende una sposa in bianco. Ha l’aria smarrita e sarà prontamente soccorsa da un pastore di St Paul: si deve sposare proprio oggi, proprio in questa cattedrale, e ci sono circa tremila persona di troppo. Poi la notte arriva in fretta, la cupola è una luna iridescente: ci si accampa, la Metropolitan Police azzarda qualche tentativo di sgombero, compaiono, per una ventina di minuti, cani nervosissimi e la tensione cresce e decresce. Allafine gli idignati riusciranno a piantare le tende e ad assicurarsi la piazza. Il vento schiaffeggia le tele di nylon e i capelli, ma si resta. La City, dove sorti di tre quarti di mondo vengono decise a tavolino, si trova circondata dal popolo indignato; sopra, la cattedrale che illumina e atterrisce: nei secoli si è vista costruire intorno banche e assicurazioni, i templi dello sbranarsi reciproco, dello status quo intoccabile, del prezzo alle vite degli individui. Stasera, forse, anche per lei, c’è un po’ di giustizia.


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