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Questo e’ quanto si legge tra le righe del rapporto Ocse 2010-2011 sull’Italia, un paese per troppi anni ingessato dagli interessi di parte della politica, delle lobby e delle corporazioni. Altrimenti non ci sarà scampo: il sistema dei veti incrociati finirà per distruggere decenni di progressi in campo economico, sociale e culturali raggiunti. Sarebbe questo il destino dell’Italia fotografato dall’Ocse, l’organizzazione dei paesi piu’ industrializzati, per i prossimi anni nell’ultimo rapporto pubblicato. Un effetto, quello della deriva, dovuto al
tragico impoverimento di un ceto medio molto sensibile agli effetti della perdita di competitività del paese e della sua economia.
Secondo i dati Ocse, le retribuzioni dei lavoratori italiani degli ultimi anni sono infatti rimaste al palo mentre sono aumentati i carichi fiscali. L’aumento dell’inflazione, dell’Iva, delle accise sulla benzina nonchè l’aumento delle tasse contenuto nella manovra Monti determinerà una forte perdita di potere d'acquisto nei prossimi anni aggravando una recessione e un circolo vizioso dagli effetti devastanti. Del resto l’Italia già parte da una posizione non avvantaggiata rispetto ai partner europei: il Bel Paese si colloca al 22esimo posto su 34 nella classifica dei salari netti: 25.155 dollari ( circa 19.300 euro). Mille euro in meno della media Ocse e quasi 4 mila in meno della media dell'Ue a 15. Nel Regno Unito la retribuzione netta è stata di 11 mila euro superiore a quella media italiana. In Germania hanno preso quasi 5 mila euro in più che da noi, in Francia 2 mila, in Spagna 1.500 euro in piu’.
E negli ultimi 10-15 anni la posizione relativa dell'Italia è peggiorata. È aumentato cioè il divario rispetto a Regno Unito, Germania, Francia e Olanda. Il motivo è che la produttività è rimasta quasi ferma, mentre altrove è aumentata. Nel settore privato tra il 1996 e il 2010 le retribuzioni reali di fatto per unità di lavoro sono aumentate dello 0,7% all'anno, quelle contrattuali dello 0,4%. In altri termini l’impoverimento delle famiglie italiane passa attraverso il mancato recupero dell’inflazione e l’aumento costante dell’imposizione fiscale che lentamente sta erodendo la capacità di acquisto. Secondo l'Ires-Cgil, il fiscal drag , cioè le maggiori imposte che si pagano per effetto dell'aumento nominale dei redditi, ha sottratto ai salari lordi più di 200 euro all'anno dal 2000 al 2010. E nel 2011, secondo l'Ires, uno stipendio medio perderà circa 260 euro di potere d'acquisto rispetto all'inflazione e 306 euro a causa del fiscal drag : in tutto 566 euro.
Le cause sono molteplici ma alcune sono fornite dall’Ocse stessa, confrontando il livello di imposizione fiscale (tasse e contributi) sugli stipendi. L'Italia è infatti al quinto posto su 34, con un prelievo del 46,9% misurato sulla retribuzione media di un lavoratore single senza figli. Fanno peggio solo Belgio (55,4%), Francia (49,3%), Germania (49,1%) e Austria (47,9%). Meglio la Spagna, Olanda e Danimarca che rimangono intorno al 38-39% e il Regno Unito al 32,7%. Se poi si mettesse a confronto il prelievo su un lavoratore con carichi familiari è probabile che la posizione dell'Italia peggiorerebbe, per esempio rispetto alla Francia che ha il Fisco col quoziente familiare.
Pesano poi sulla scarsa competitività italiana un eccessiva burocrazia sulle imprese, uno scarso livello di preparazione universitaria, la mancanza di manodopera specialistica, il nanismo imprenditoriale e la mancanza di liberalizzazioni nei settori delle professioni e dei servizi pubblici locali. fonte
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