L’Italia deve spostare la sua politica del lavoro “tutelando maggiormente il reddito dei lavoratori e meno il posto di lavoro in sè” e e migliorando “la rete di supporto sociale”. Lo scrive l’Ocse nel rapporto “Going for growth”, in cui chiede anche di “abbassare il cuneo fiscale e il costo minimo del lavoro”.

(tempi.it)
Nel suo rapporto ‘Going for Growth’ l’Ocse chiede anche di riformare la contrattazione collettiva affinché la negoziazione salariale sia più “reattiva” rispetto alle condizioni del mercato del lavoro. L’organizzazione ricorda la priorità di ribilanciare la protezione dai posti di lavoro ai lavoratori alleggerendo la protezione dei lavoratori per alcuni tipi di contratto e aumentando la rete di protezione sociale.
L’Ocse riconosce all’Italia alcune riforme del mercato del lavoro, in particolare il ricorso obbligatorio alla conciliazione e l’introduzione graduale di una assistenza universale alla disoccupazione come previste dalla “riforma Fornero” e con l’introduzione dell’Aspi. Ma l’organizzazione parigina ritiene, in particolare, che “una parte difficile della riforma sarà combinare con efficienza tutti gli elementi di supporto e attivazione”: in particolare il training e le agenzie di collocamento, previste a livello regionale, con la fornitura dei sussidi che avvengono invece a livello nazionale. Per ridurre i loro ritardi nella formazione, inoltre, Italia e Portogallo dovrebbero secondo l’Ocse riformare l’educazione professionale.
“La diffusa decelerazione nella produttività dall’inizio della crisi potrebbe presagire l’inizio di una nuova era di bassa crescita”. Lo scrive nell’introduzione al rapporto “Going for Growth” il capo economista dell’Ocse, Pier Carlo Padoan, secondo cui il calo dei tassi di crescita globale potrebbe essere diventato strutturale. “Lo slancio dell’economia globale resta debole, aumentando il timore che ci sia stata una contrazione strutturale nei tassi di crescita rispetto alla fase pre-crisi”, spiega Padoan. Queste preoccupazioni non sono più limitate ai Paesi occidentali, ma coinvolgono anche gli emergenti e “sono alimentate dall’alta disoccupazione e dal calo della partecipazione alla forza lavoro in molti Paesi”. Secondo Padoan “è improbabile che la creazione più rapida di posti di lavoro sia sufficiente per riportare i tassi di occupazione ai livelli pre-crisi, men che meno a livelli capaci di compensare l’impatto dell’invecchiamento della popolazione nei Paesi avanzati”. Vi è infatti una contrazione della produttività fra i cui motivi spicca in modo “preoccupante” il “marcato rallentamento nell’attività di commercio globale”. Il commercio internazionale, infatti, oltre ad essere un fondamentale “vettore di diffusione di conoscenza e tecnologia”, è anche uno stimolo alla produttività “attraverso una più forte pressione competitiva nei mercati interni”. Nell’introduzione al rapporto “Going for growth”, Padoan sottolinea che negli ultimi tre anni a fare riforme strutturali sono stati soprattutto i Paesi “entrati nella crisi con ampi deficit di bilancio”, mentre quelli in surplus sono andati più a rilento. “Lavorare sulle carenze dei mercati finanziari e ristabilire bilanci sani nel settore bancario restano in cima alle priorità” per rilanciare l’economia globale, scrive poi il capo economista dell’Ocse e presidente dell’Istat.
L’Italia ha fatto “qualche passo avanti” su riforme strutturali e liberalizzazioni, ad esempio sugli orari dei negozi. Ma “servono ancora sforzi ulteriori”. In particolare, per Italia, Grecia e SPagna “rimane valida la raccomandazione di liberalizzare le professioni chiuse”. Per migliorare la competitività, secondo l’Ocse l’Italia deve poi “ridurre le barriere alla concorrenza, aumentando l’applicazione della legge a tutti i livelli, riducendo la proprietà pubblica e i ritardi della giustizia civile”.
Il tasso di disoccupazione in Italia è ormai “a doppia cifra”, e per ora non ci sono segni di “inversione” imminente della tendenza all’aumento. “Diversi anni di consolidamento fiscale – scrive l’organizzazione – aggiustamenti nei bilanci del settore privato, bassa fiducia e disponibilità di credito ridotta hanno lasciato l’Italia con un tasso di disoccupazione a due cifre e nessun segno di un’inversione rapida e autosufficiente”. A preoccupare l’Ocse è in particolare la disoccupazione di lunga durata (un anno o più), che con la crisi è inesorabilmente aumentata: nel 2011 riguardava già oltre la metà dei senza lavoro italiani, il 51,9%, e nel 2012 ha toccato quota 53%.
