Il meccanismo che elimina la solitudine dal vocabolario di Clemente è il muro portante del film e, almeno per il sottoscritto, anche il meglio realizzato, questo perché è sempre bello vedere delle persone nei personaggi, e in Octubre (2010) tutti coloro che calcano la scena (anche le comparse) fanno armoniosamente parte dell’ecosistema filmico. Non ci sono stonature quindi, e nello spartito generale spicca l’interpretazione super misurata di Bruno Odar che conferisce una burbera bonarietà a Clemente, da qui scattano le varie dinamiche con le sempre più numerose presenze all’interno dell’appartamento spartano in un saporito susseguirsi di scenette che hanno proprio quei tempi e quei modi giusti; summa del ridicolo il compleanno del protagonista, una di quelle scene che inevitabilmente finiscono sulla locandina.
Evidentemente esiste una sottaciuta corrente latina che attraverso un cinema essenziale, privo di ornamenti superflui, descrive le debolezze dell’anima. Si tratta di pellicole veramente ridotte all’osso tra cui possiamo citare Whisky (2004), La influencia (2007), Leap Year (2010) e in parte La mosquitera (2010), modelli di storie accomunate da uno stuolo di caratteristiche (l’insistenza nel fornire il più possibile una descrizione dell’uomo immerso nella sua quotidianità; la meticolosa raffigurazione dell’ambiente casalingo; l’emarginazione emotiva, sentimentale e personale dei singoli soggetti; le increspature malinconiche che erigono un ponte empatico con chi guarda). Octubre si aggiunge con discrezione all’elenco, lo fa senza far rumore, senza che ci si accorga della sua presenza. Quando la semplicità riesce ad arrivare al cuore delle cose.