Magazine Cultura
Ho concosciuto la sensibile autrice di questo libro che si intitola Odio, gli inganni della vita, edito da Zona, grazie a Luana Troncanetti e a... Facebook.
Lascio a lei la parola, invitandovi a leggere questa interessantissima opera.
Prima di raccontare del mio secondo romanzo, credo sia opportuno presentarmi, come solitamente si usa per iniziare a conoscere una persona: mi chiamo Patrizia Targani Iachino, il secondo cognome indica non uno stato nobiliare ma più semplicemente il legame con il mio paziente marito (scrivere “paziente”, riferendosi a un medico sembra un segno del destino!). Sono un’imprenditrice, nel senso che è una vera e propria impresa (fatica) seguire la mia piccola azienda, direi a conduzione familiare, gestita da due soci e con due dipendenti. Avevo vent’anni quando piena di entusiasmo giovanile ho investito il mio capitale in quest’azienda e oggi ho deciso di aprirne un’altra a conduzione personale, investendo su me stessa.
Non è facile parlare di se stessi, mi è molto più facile scrivere. Proprio attraverso la scrittura riesco a dare voce alla parte più nascosta di me, quella che neppure io stessa conoscevo. Difatti, fin dalle prime pagine scritte di getto, ho capito, rileggendole, che in qualche modo coabitavano dentro di me creature che avevano la necessità di cercare la luce e la mia penna è stata il tocco magico che, liberandole, ha dato loro voce. Sulle prime credevo d’essere posseduta da diverse tipologie di donne di età differenti che fremevano e si agitavano per farsi notare da me. Ho trascorso un “periodo letterario” molto fertile e pure caotico durante il quale scrivevo qualunque cosa: pensieri, poesie, la prima bozza di Odio e in contemporanea la stesura del mio primo romanzo pubblicato nel 2005, Riflessi. Non a caso era la storia di una donna affetta da sdoppiamento della personalità, una sorta di dott. Jackill e mister Hide al femminile, come fossi io stessa la vittima inconsapevole di un’apparente lotta tra due donne.
Quasi per gioco ho partecipato a un concorso internazionale letterario, vincendo il secondo premio (Il Maestrale – Marengo d’Oro di Sestri Levante), caricandomi di nuovi stimoli. E’ con questa emozione nel cuore che ho ripreso la bozza di Odio, nata dalla lettura di articoli sulle riviste femminili e, soprattutto, prendendo spunto da una lettera in particolare, inviata al direttore del giornale, nella quale chiedeva aiuto su come comportarsi in seguito al tradimento del marito. Sono molto sensibile al dolore femminile e a tutte le sue sfumature, quindi mi è venuto spontaneo chiedermi come mi sarei comportata se mi fossi trovata in quella situazione.
L’idea era già stata abbozzata nella prima stesura di Odio ma non approfondita. Ecco allora che una delle mie inquiline mi ha prepotentemente preso la mano e ha voluto indossare a forza i panni della protagonista. Non sapevo cosa sarebbe accaduto dopo le prime pagine e, in genere, vengo a scoprirlo quasi insieme al lettore, subito dopo averlo scritto. Silvia, dipinta a mia immagine e somiglianza sia nella fisicità che nel carattere, affronta percorsi di vita reali e di fantasia, anche se tengo a precisare che nulla è inventato. Considero, difatti, le opere di fantasia testi come quello di Harry Potter o quelli di fantascienza. Io scrivo la realtà della vita, fatti che accadono o possono capitare a chiunque. Non invento nulla: rubo alla realtà quotidiana, complicando un po’ la vita ai miei personaggi in una continua sfida con me stessa, mettendo alla prova i miei sentimenti, facendo vibrare le corde delle mie emozioni e permettendo alle mie protagoniste di vivere una vita propria. C’è una sorta di transerft in tutto questo. Quando scrivo, vivo realmente la loro storia in prima persona. Entro, come la medium di Ghost, nella mia protagonista e con lei soffro, piango e rido di ciò che io stessa inconsciamente l’obbligo a vivere ed è qui che entra in gioco l’immaginazione: i miei ricordi diventano quelli della protagonista e le vicende che vivrò non sono altro che i miei sogni o le mie paure, come fosse sufficiente scriverle per poterle vivere o allontanarle. Così come l’acqua dolce del fiume s’incontra con quella salata del mare, alla fine si fondono insieme, regalando emozioni ad ognuno di noi.
Ecco perché mi è venuto istintivo affrontare l’argomento del tradimento. Come tutte le donne ne ho paura e, ponendo la mia protagonista in una situazione estrema, ho voluto capire come mi sarei comportata al suo posto. Tutti, chi prima chi poi, hanno dovuto subire degli inganni e Silvia, una donna che ha vissuto nella bambagia, circondata da affetto e benessere, una donna-bambina che ha sempre considerato la vita come un gioco, ha ricevuto gli inganni più duri proprio dalle persone che più ha amato: suo padre prima e suo marito dopo. Ecco il motivo del sottotitolo: "gli inganni della vita”. Silvia ha vissuto l’abbandono del padre come un tradimento, rompendo l’incantesimo in cui pensava di vivere per sempre.
Ho ritenuto appropriati i ripetuti riferimenti al mondo delle favole, scritti in corsivo per distinguerli dalla narrazione, rafforzando il contrasto tra i due mondi: quello adulto e quello infantile di Silvia. La storia della dualità sembra ripetersi nei miei romanzi ma mentre in Riflessi ho evidenziato la lotta tra il bene e il male, in “Odio” racconto la storia di una bambina che abita nel corpo di una donna. La vita le infliggerà dei dolori che la costringeranno a crescere e a identificarsi in un’unica persona.
L’evoluzione della bambina e il doloroso passaggio dal suo mondo di favole e principesse a quello più duro ma reale della vita in tutta la sua struggente bellezza, con i suoi dolori e le sue gioie. Anche nelle favole c’è la strega cattiva ma nelle fiabe il bene vince sempre sul male, nella vita reale no. Puoi sempre incontrare l’orco dietro l’angolo di una strada.
La bambina imparerà crescendo ad accettare anche il male che la vita ti può riservare. L’ostinarsi a non crescere per rimanere nella gabbia dorata t’impedisce di vivere e il non affacciarsi alla vita, per evitare di farti male, ti nega anche le sue gioie, costringendoti a guardare in modo perenne la tua casetta delle bambole. Se quella bimba aprisse la porta di casa troverebbe forse anche il lupo cattivo ma, sicuramente, anche molte cose positive e l’intero mondo, così come la sua vita, sarebbe diversa e più felice.
Il romanzo scritto con l’apparente necessità di affrontare un tema che mi aveva colpito è, in realtà, una semplice copertura per portare alla luce un ben più grave problema che avevo tenuto sigillato in un forziere nel fondo del mio cuore. Avevo vent’anni quando ho subito violenza e per altri venti ho taciuto, nascondendo il mio dolore a tutti, fingendo che non fosse mai accaduto. Ho indossato il mio sorriso migliore e con quello ho convissuto fino a quando la scrittura non ha preso il comando, impedendomi di continuare a sopportare un peso troppo oneroso per me. Quella bambina che aveva subito un trauma tanto violento non è riuscita più a rimanere in silenzio: scrivere mi ha permesso di liberarla e di affrontare con la giusta maturità il dolore, guardandolo negli occhi. Ho inserito le due pagine reali della violenza subita in un romanzo dove non tratto dell’argomento nello specifico ma sono quasi confuse, come due perle nere in un mare di fango. Non era mia intenzione coinvolgere il lettore in un dramma personale ma è stato un atto liberatorio per me che lo avevo vissuto, trasformando un semplice romanzo in un percorso terapeutico. Oggi sono più serena, conservo ancora le cicatrici del mio passato ma affronto il presente con il mio viso, a volte sorridente, a volte no, convivendo con le mie rughe nel cuore conscia che non potrà esistere alcun lifting che le potrà spianare, ma orgogliosa di aver dato voce al mio silenzio e di aver cresciuto la bambina che era in me come la migliore dei miei figli.
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