La guerra civile in Libia non trova spazi di mediazione: nel momento in cui scriviamo la Nato, che ha preso in mano l'azione militare a “difesa” dei civili, fa vittime ogni giorno, così come le truppe di Gheddafi.
La proposta di mediazione dell'Unione africana - i cui punti fondamentali sono “l’immediato cessate il fuoco, assistenza umanitaria per la popolazione, la protezione degli stranieri residenti nel Paese, il dialogo fra le parti in conflitto per un periodo di transizione e l’attuazione delle necessarie riforme politiche” - è stata respinta dagli insorti di Bengasi. Intanto l'intero nordafrica sembra essere diventato il teatro di un'emancipazione popolare che era già prevedibile da un decennio a questa parte, ma che l'occidente non ha saputo o voluto vedere. Ne abbiamo parlato con Izzedin Elzir, imam di Firenze e presidente dell'Ucoii.Izzedin, qual è il suo parere sul conflitto libico.
Stiamo parlando di popoli per decine di anni hanno subito una dittatura e ora hanno hanno avuto il coraggio di ribellarsi a questo stato di cose. Credo che dobbiamo appoggiare queste rivolte nel momento in cui creano spazi di libertà
Libia, Tunisia, Egitto: siamo di fronte a una nuova onda di fierezza panaraba?
Direi che siamo di fronte a un'onda di libertà. Qui non si tratta di mondo arabo o islamico. Per diversi motivi, e probabilmente in virtù di storie diverse questi giovani hanno aperto la strada verso una nuova condizione di dignità dell'uomo.
Dopo trent'anni di colonialismo italiano e un quarantennio dominato dal regime centralistico di Gheddafi la Libia torna a essere un crogiolo di tribù in lotta fra loro. O almeno, il fattore tribale è stato più volte considerato determinante per l'attuale conflitto. Cosa ne pensa?
Non sono d'accordo. Abbiamo dei pregiudizi: qui non si parla di tribù, si tratta di una popolazione che sta facendo una lotta per la libertà. Dobbiamo uscire dai nostri pregiudizi, altrimenti rischiamo di non comprendere le cose fino in fondo. Certamente c'una base tribale ma a prescindere dalla propria appartenenza la gente vuole affermare e difendere la libertà e lotta per la dignità dell'uomo. Noi possiamo sfruttare questo momento storico per allacciare un dialogo.
Al via della guerra (eufemisticamente chiamata “operazione Odissea all'alba”) Gheddafi ha detto che l'intero Mediterraneo sarebbe diventato un campo di battaglia contro i “crociati” che hanno osato attaccarlo. Lei ritiene che questo sia uno scontro religioso?
Chiaramente la religione non c'entra: qui non si tratta di conflitto religioso. La Turchia è nella NATO e diversi paesi arabi sono contro.
Come giudica l'intervento NATO per salvare i civili libici dai massacri ordinati dal dittatore e dal suo clan?
Il popolo libico ha tutto il diritto di chiedere aiuto a chiunque. Da persona che vive in uno spazio libero la cui Costituzione ripudia le guerre sono per il no all'intervento militare. Detto questo rispetto le decisioni del popolo libico: alla fine la decisione sta a loro.
Il vicecancelliere e ministro degli Esteri Guido Westerwelle ha detto che “non è coi mezzi militari che si può risolvere la crisi libica” e ha proposto un cessate-il-fuoco che anche Gheddafi dovrebbe rispettare. È d'accordo?
Io sono per il dialogo: non si può risolvere una cosa così importante solo con l'intervento militare. Basta vedere ciò che è successo in Iraq e Afghanistan, che certo sono casi diversi ma propongono problematiche simili. Dobbiamo far valere la diplomazia occidentale, araba e islamica.
I recenti avvenimenti nordafricani stanno portando in Italia una grande quantità di persone bisognose di assistenza: si parla di 22mila stranieri nei primi tre mesi dell'anno. Il Governo italiano è in tilt e accusa l'Ue di scarsa collaborazione. Di cosa ci sarebbe bisogno, a suo parere, per aiutare sul serio queste persone?
Ci vuole di una grande collaborazione con l'Europa. Il nostro Paese non deve affrontare la questione da solo, ma è anche vero che non dobbiamo spaventarci per 22mila persone. L'Italia può ospitare tranquillamente queste persone. Tra l'altro avremmo potuto risolvere questa questione fin dal primo giorno. Se avessimo trasferito subito questi profughi in altre realtà, invece di mantenerli Lampedusa, il problema non ci sarebbe stato. Se la Tunisia ha potuto ospitare 150mila profughi non vedo perché l'Italia non possa accoglierne 22mila.