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Ad impedirmi di evitare l'acquisto è stata l'ambientazione: la vicenda si svolge alla fine XIX secolo nella tenuta toscana di Roccapendente, i cui abitanti, visibilmente scontenti dalla perdita degli antichi privilegi seguita all'Unità, si trovano a fare i conti con ospiti senza un goccio di sangue blu (uno è il celebre Pellegrino Artusi, l'autore di La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene), con lo sfacelo economico e morale e, naturalmente, con un delitto. Le battute di caccia del barone Romualdo, le avventure di bordello di Lapo, le divagazioni poetiche di Gaddo (i suoi figli) e le sedute di zitellaggine delle vecchie zie, così come le quotidiane attività della casa sono improvvisamente turbate dalla morte del maggiordomo Teodoro, avvelenato nella sua stanza da un calice di vino che si sospetta destinato al padrone di casa. Pellegrino Artusi, con le sue conoscenze chimiche in materia di alimenti e non meno con la sua passione per i romanzetti gialli (come li definisce Gaddo, che riconosce come degno scrittore solo il vate Carducci suo compaesano, che, però, gli riserverà una sorpresa decisamente poco elegante), ma anche con una buona dosa di pubbliche relazioni con la giovane Cecilia, risulta determinante nel suggerire al delegato Artistico, responsabile delle indagini, il movente e la soluzione del delitto.
La narrazione è condotta con la consueta verve dell'autore, ma in uno scenario decisamente più tradizionale per il genere giallo: una dimora in cui albergano segreti e in cui chiunque è sospettabile in quanto divide con la vittima uno spazio chiuso. L'originale variatio sta nella sostituzione della tipica figura dell'assassino con quella dell'assassinato: il maggiordomo stavolta è immune da ogni accusa. Il romanzo, di conseguenza, diventa un'agile corsa alla ricerca di dettagli e indizi in cui la perizia del Malvaldi chimico si intreccia con l'arte culinaria, la tecnica narrativa con bocconi di cultura e curiosità sparse qua e là, come quando la maionese diventa la metafora calzante per spiegare la possibilità dell'Unità di un'Italia fatta di tante Italie diverse.
Nella nota di chiusura Malvaldi dichiara che è stato lo stesso Antonio Sellerio a suggerire l'ambientazione toscana, mentre lui aveva pensato ad un castello vittoriano e, anzi, come dichiarato durante l'incontro al Tocatì, Odore di chiuso era, in origine, Tre uomini a caccia, un romanzo concepito come apografo di Jerome K. Jerome. Ma dove trovare un personaggio altrettanto dotato di umorismo nel panorama letterario italiano dell'Ottocento? A quel punto è capitato l'Artusi, un personaggio che lo ha colpito per il modo in cui apre i Commenti sopra trenta lettere di Giuseppe Giusti (il buon Pellegrino era infatti un critico letterario): «Lettore mio, Dio ti salvi dagli sbadigli»: era il personaggio ideale.
Pur essendo solo al terzo libro di Malvaldi, Odore di chiuso è quello che mi è piaciuto maggiormente, sicuramente per la sua ambientazione, più ancora per la freschezza portata da una prosa elegante e ironica in un contesto storico che viene strappato alla solennità del giallo classico per essere portato su un piano più vicino al lettore senza però tradire l'essenza delle circostanze sociali e storiche.
Un Malvaldi decisamente da applaudire.
C.M.
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