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Mentre faccio colazione da sola davanti alla finestra che si affaccia su una delle tante stradine pulitine e ordinate di Stavanger, rifletto sull'estate. Oggi è il primo di Luglio, mese solitamente dedicato al mare, il "mio" mare sardo, quello di sempre. Penso al libeccio e al maestrale, a quel leggero ponente purificante, all'acqua fresca, alle immersioni con le bombole insieme a mio fratello che poco prima mi dice "Bimba, occhio, vienimi dietro", ai conneri fritti, alle nottate in spiaggia con la birra, il pecorino e gli asciugamani zuppi. Penso, apro la finestra e annuso l'aria. Fossi stata in Sardegna avrei avvertito il profumo erotico della macchia mediterranea, del mirto e del ginepro, odore inebriante che si avverte non appena si sbarca dalla nave a Golfo Aranci. Avrei visto la luce del sole dorato mattutino scaldare le rocce a forma di tutto: di naso, di orso, di vagina, di cuore. Lo stesso gioco che si fa con le nuvole. Invece vedo casette bianche e azzurrine con i tetti spioventi. Casette che sembrano inabitate, su di una via da set cinematografico quando la troupe finisce le riprese, e tutto rimane là, intatto ma inutile, morto. L'aria ha un lieve odore, sa di mare nordico, non è lo stesso del mediterraneo. E' un odore da sala operatoria. Sterile. Povero, non ispirato. Non è neanche pessimo, di acqua sporca, come quello di Londra. E' pulito, ma non sa di bucato. Sa di purezza, di vergine. Una volta attesi tanto prima di annusare un uomo che volevo, per poi scoprire che non aveva quasi odore. Sapeva di Stavanger.
Mi hanno proposto di lavorare un anno (scolastico) al Lycée Français di Stavanger, insegnerei Scienze Biologiche in francese, finalmente potrei far fruttare la laurea. Ci sto pensando. E mentre rifletto a ciò che lascerei (probabilmente) definitivamente a Firenze e in Italia, non riesco a non pensare a quanto io ami sta cippa di stivale problematico. Ogni angolo italiano per me è ossigeno puro. Anche il peggiore, il più lurido ed insignificante. Mia nonna che è di Ivrea ma che aveva sposato un alsaziano puro, trasferendosi a 25 anni a Strasburgo, mi dice sempre "Bella, ricorda che l'amore si fa in Italia". La sua metafora sempre calzante, mi perseguita ogni istante. Il dolore e il piacere che si provano nel Paese dove sono nata per caso, sono imparagonabili. Scegliere di andarsene non è mai una scelta serena, come quando molli un uomo perché sai che è 'impossibile' con lui. Ci pensi sempre. Ci penserai anche quando la cotta sarà passata: ci penserai con rimpianto.
Mentre penso a cosa fare, spalmo un po' di burro su una fetta di pane nerissimo come la faccia del tipo che a Fes in Marocco ci ha fatto da guida, e con il quale sono ancora in contatto. Forse verrà a Stavanger, invitato dalla sottoscritta per il progetto di scambio interculturale. Parlerà agli studenti norvegesi del Marocco, del Mediterraneo. E loro lo staranno ad ascoltare, cosi come io ascolto sempre lui, rapita.
L'uomo ha inventato il viaggio, ma non ha inventato la partenza (Abdelmajid Benjelloun)
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