Di offerte di lavoro ne è pieno il mondo e il web. Il problema è capire quante di queste sono proposte serie di impiego e quali sono emerite perdite di tempo, annunci ideati a posta per adescare disperati da sfruttare, proposte che non sarebbero accettate mai, per nessuna ragione al mondo, nemmeno da chi le redige.
Come sapete, ho passato agosto a fare colloqui fissati nei giorni più caldi del mese, ad orari che oscillavano dalle 12:00 alle 15:00, nelle zone di Roma (e dintorni) più impensabili. Due anni di disoccupazione altalenante e di contatto diretto con ogni tipi di sfruttamento possibile (non ultimo il servizio civile e tutti gli annessi e connessi della situazione contingente, che ho lasciato perché inaccettabile) mi hanno segnato dentro. Non solo. Mi portano costantemente a chiedermi: che cosa manca? Il rispetto, forse.
Partiamo dalle basi: come si scrive un annuncio di lavoro. Anzi. Mi correggo. Ri-partiamo dalle basi. Lo dice la Costituzione: l'Italia è una (dannata) Repubblica fondata sul (sacrosanto diritto al) lavoro. Detto ciò.
Nella maggior parte dei casi, gli annunci pubblicati in rete sono vaghi: il tipo di lavoro viene delineato in maniera ambigua, il tipo di contratto non viene mai menzionato, la mansione specifica o il tipo di inquadramento non è praticamente mai inserito. La grande omessa è la retribuzione (non dico la cifra esatta netta e lorda, ma la comunicazione base del tipo: è prevista) e, anche quando nell'annuncio è presente la famosa frase dello stipendio in base alle capacità comprovate del candidato, non di rado ci si scontra (nella realtà) con un:"Ah, no! Noi non possiamo permetterci di retribuire i nostri dipendenti!" per carità, sia mai che morite di peste bubbonica se pagate chi vi fa il lavoro (da cui guadagnate)!
Il candidato manda l'annuncio allo sbaraglio, magari accetta un colloquio, si smazza ore sui mezzi o in macchina a proprie spese, arriva in azienda, viene messo sotto torchio per vedere se è sufficientemente idoneo agli alti standard dell'infinitesima azienda e poi, quasi sbattuto sull'uscio, azzarda a chiedere: "Mi potete dire qualcosa del mio ipotetico contratto?". Nella migliore delle ipotesi, la riposta più plausibile è sempre: "Non abbiamo ancora deciso, si vedrà, dobbiamo parlare con il nostro commercialista. Non sappiamo ancora come inquadrare. Non abbiamo idea del tuo ruolo. Non sappiamo il nome della tua professione.". Non paghi, sottolineano che non hanno nemmeno idea della data entro cui ti faranno sapere. Potrebbe essere fra una settimana, fra due, fra tre. D'altronde, si fa selezione del personale anche così, no? Vedendo chi sopporta, chi resiste, chi si piega. Scambiando questa "resistenza" per interesse, motivazione e idoneità. Ci sono molti motivi per cui una persona decide di "resistere" e non tutti sono attinenti alla bravura o all'amor patrio per una realtà di cui ha appena sentito parlare.
Le aziende (e non solo loro) chiedono, pretendono tutto (anche l'accesso al Facebook personale e l'accettazione di abusi su più livelli) senza dare in cambio nulla (nemmeno il rispetto per l'essere umano che hanno davanti). Non dico la firma immediata del contratto, ma almeno l'informazione minima, basilare che mi permetta di sapere se potrò sopravvivere oppure no, se potrò pagare l'affitto o mantenere una persona a carico (o più, in caso di figli). Quell'informazione che permette a una persona di andare dal proprio genitore, marito, compagno, figlio e dirgli: "Gioisci, abbiamo finito di soffrire" oppure "Amore, ci possiamo sposare! Ora ho un lavoro anche io!". Niente, zero assoluto. Quasi la (giusta) paga fosse l'Innominabile. Già! Non bisogna "pesare" sull'azienda con queste assurde richieste! Che sarà mai arrivare a fine mese senza un euro! Qui si tratta di spirito di sacrificio, di avere degli alti valori morali, di non essere arrivisti! Che diamine! Ti diamo dieci centesimi lordi all'ora: non sei contento? Pretendi di più? Che persona orribile sei! Questa è un'azienda seria, non ci possiamo perdere in queste quisquilie da quattro soldi e poi, ovviamente, non lo sai che c'è la Crisi? Siamo stati pesantemente penalizzati dai tagli, dalle tasse, dalla Crisi mondiale, dallo spread! Non possiamo permetterci di pagare i dipendenti. Ah, si. Sto per andare tre mesi in vacanze a Capri, hotel sette stelle lusso. Ti piace la mia nuova Prada? Perché mi guardi con quegli occhi? Io sono il boss.
L'azienda quanto pesa su di me? Se lo chiedono mai, le carissime?
Non parliamo, poi, dei contributi e delle coperture assicurative: questo argomento proprio non entra nei colloqui. Non è possibile fare il download del driver nella mente del selezionatore perché manca anche il giusto aggiornamento che lo permetta. E non venitemi a dire che questa mancanza totale di rispetto nei confronti degli esseri umani si può giustificare con l'alto costo del lavoro, l'elevato numero di tasse che il datore di lavoro deve pagare se assume un dipendente perché in Italia ci sono tali e tante strategie per abbattere questi costi (tutte praticate) che è ridicolo anche solo il pensiero che si possa insultare così la gente.
Un altro problema non indifferente degli annunci di lavoro è: qualcuno risponde? Non dico alla candidatura inviata, ma alla semplice richiesta di maggiori informazioni preventive (o consecutive). Sto aspettando la conclusione di alcune selezioni (a cui tengo molto) e ho inviato delle richieste di informazioni. Telefoni che squillano a vuoto, e-mail inviate e lasciate non risposte, contatti sui social a cui mai c'è un seguito (non sarò abbastanza cool per meritare una risposta). Mi domando: che senso ha inserire in un annuncio la frase "Per maggiori informazioni contattare il numero tal dei tali o inviare una mail all'indirizzo" se poi sono linee che squillano nel nulla. Spesso ci si dimentica che si ha a che fare con persone, quando si cercano collaboratori. I dipendenti o i professionisti esterni non sono oggetti da prendere, usare, spostare e scacciare. Sono persone. Mostrare rispetto per le risorse umane che danno vita al tuo business che ti permette una vita agiata significherebbe rispondere a una richiesta di informazioni. Se non è possibile gestire questo flusso comunicativo con i candidati, è meglio togliere il canale piuttosto che ingannare così spudoratamente.
L'ultima domanda (per oggi) è: come siamo arrivati qui? Com'è stato possibile che la nostra società schifi così profondamente l'essere umano? Che cosa abbiamo fatto, di quali responsabilità collettive ci siamo macchiati per giungere a un tale modo d'agire nei confronti del sacro diritto al lavoro? Arrivismo, arroganza, spudoratezza, insensatezza, ibris, ignoranza, cecità. Non basta una manovra politica per arare la terra psichica dell'Italia. Non basta il Monti della situazione per dare una occasione di dignità di giovani in cerca di lavoro. Servono azioni più concrete per seminare un nuovo approccio al business e alla selezione delle risorse umane. Diffidiamo gli uni degli altri e siamo tutti pronti a fregare il prossimo partendo dal presupposto che non è sbagliato, è solo sopravvivenza, lo fanno tutti, è giusto così. Quanto potrà durare? Per quanto potremmo andare a tentoni alla ricerca dello sviluppo quando non riusciamo a svilupparci noi per primi come uomini e donne e fra di noi?
Che cosa diremo ai nostri figli, se mai sceglieremo di averne? Come ci giustificheremo per l'accettazione della violenza sociale come status minimo? Cosa risponderemo davanti alle attribuzioni di colpa che la Storia ci darà? Un annuncio di lavoro mal scritto, ingannevole, falso o senza collegamento reale con un lavoro serio è la punta dell'iceberg di un problema enorme che ci riguarda tutti. Anche chi ha stipendi da nababbo o accetta la prostituzione aziendale per mantenere uno status.






