L’ultima volta che ci siamo viste io e te da sole era ottobre già da un po’, ma faceva ancora caldo. Sono venuta a trovarti di ritorno da un esame che non avevo dato, e non te l’ho detto: ti ho detto che era andato tutto benissimo. Come al solito? Come al solito.
All’epoca erano già un po’ di mesi che non ti dicevo le cose spiacevoli, poco o molto importanti che fossero. A volte inventavo qualcosa, altre bastava tacere un dettaglio che non avevi modo o interesse di appurare altrimenti, e ogni volta sorridevi un po’, perché eri orgogliosa di me.
Io sorridevo di rimando, perché ti volevo bene, e te ne voglio, ed ero felice di averti fatta stare bene. Poi, quando consideravo le ragioni per cui potevo permettermi di trattarti così, quando pensavo alla tranquillità con cui lasciavo da parte la realtà dei fatti solo per risparmiarti qualcosa, quando mi mettevo di fronte alla certezza che mai ci sarebbe per te stata l’occasione di confutare la marea di storie che avevo inventato, di solito piangevo.
Quella volta ho pianto in silenzio, in metropolitana, cercando di fare in modo che non si notasse troppo quando poi sarei rincasata. Volevo proteggerti dall’affetto degli altri, era importante che non sapessero di come ti eri affidata a me completamente, una bambina. Ho detto che ti avevo trovata bene, e che accidenti agli alberi che con quel caldo ancora fiorivano a ottobre, avevo starnutito tutto il tempo. La mamma ha detto sì, è vero, e io ho fatto finta di credere che ci avesse creduto, e le ho sorriso un po’.
La signora che badava a te da quando è morto il nonno è messicana, e si annoiava molto. Si annoiava molto perché tu non parlavi quasi per niente, e io posso immaginare quanto sia snervante stare tutto il giorno e tutta la notte con te, che non parlavi quasi per niente e stavi seduta dove ti aveva messa lei e guardavi davanti a te senza che si capisse se e cosa pensavi.
La signora che badava a te sapeva che io parlo lo spagnolo, non molto, non bene, ma capisco tutto, quindi era contenta quando venivo a trovarti e poteva parlare un po’ con me, che mi muovo e rispondo e, per educazione, sorrido, anche se sono seduta di fianco a te che non fai nessuna di queste cose e ho un moto di pena fortissimo per te e per me assieme.
Quella volta che dicevamo, quando sono venuta a trovarti a ottobre, alla signora che bada a te dopo un po’ è venuto in mente che forse avrei avuto piacere di restare sola con te. Le sono stata grata, perché io non avevo idea di come chiederlo senza suonare sgarbata. Quando lei è andata via ho potuto smettere di sorridere, perché tu non ti accorgevi molto di quello che capitava attorno, a meno che non si attirasse prima esplicitamente la tua attenzione. Allora, e si vedeva che ti costava fatica, ti concentravi su di me, e io non avrei avuto cuore di dirti cose men che meravigliose neanche se ne fosse andato della mia vita.
Quando siamo rimaste sole ti ho preso la mano, che era nodosa e fragile per l’età, ma liscia e curatissima, con le unghie ben limate. Sono stata contenta che la signora si fosse fidata di mia madre, quando le diceva che tu eri una donna che aveva sempre tenuto moltissimo a se stessa, e che continuasse a limarti elegantemente le unghie anche ora che le tue dita, mi pareva, non erano più nemmeno in grado di chiudersi un poco sulle mie. Ho alzato gli occhi, ti ho sorriso, tu hai sorriso a me.
Avevi addosso due maglioni, anche se fuori era caldo e dentro casa caldissimo, tremavi come una foglia, non potevi stringere la mia mano e quasi non riuscivi nemmeno a parlare. Però mi hai sorriso, perché io avevo sorriso a te.
Mi sono fermata un’oretta, ho parlato di tutto quello che mi veniva in mente e che poteva farti sorridere ancora un po’. Ti ho raccontato tutto del fidanzato che non avevo già più un da un bel pezzo, ti ho parlato di tagli di capelli, di viaggi che non ho intenzione di fare, di scuola, di vestiti nuovi e del vestito che avevo addosso. Mi hai detto che ti piaceva. Eri sempre felice di vedermi vestita a modo, ci tenevi.
Sorridevi e sorridevo.
Poi ci siamo viste ancora, qualche volta. Tu eri sempre più fragile e muta e piccola, e tirarti fuori dalla tua assenza era sempre più faticoso per te e per noi, che eravamo in quattro e ci sollevavamo a vicenda dal dovere di fingere che tu avessi ancora intatte la tua dignità e la tua compostezza e la tua eleganza e il tuo brio.
Era quasi un anno che non c’eri più davvero, e oggi, che davvero non ci sei più, secondo me sei più contenta così.
Ciao, a poi.