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Creato il 13 agosto 2010 da Ludacri87
I soliti ignoti
Il Monicelli anni ’50, gli ultimi anni ’50. E’ un po’ una parabola che raggiunge la sua massima estensione e, al contempo, preme ad andare oltre. E’ una forma di neorealismo brillante, non tanto evidente ai critici che furono, molto più comprensibile ad un comune e non necessariamente critico occhio moderno che ha a che fare con la cinematografia di quegli anni. La forza neorealista deriva dall’amarezza di questi ragazzi di borgata, dei reietti, di chi non vuole lavorare, preferisce credere nel colpo della vita. E’ un’amarezza forse meno drammatica degli scatti neorealisti per eccellenza, molto intensi, ma, con lo stereotipo che è un unguento necessario, forse addirittura più credibile. Il lavoro stanca, è sottopagato. Siamo in una fase post-guerra in cui la civiltà non ha portato immediato arricchimento e le risorse lavorative sono eccessive, in una fase di ricostruzione ed ammodernamento. E se l’ansia di drammaticità punta su un patetismo veritiero ma a volte troppo angosciante, Monicelli risponde con una profonda semplicità ed un rispetto di quei valori passatisti e passati che contraddistinguono da sempre la nostra società. Non c’è la potenza di un’inquadratura, ma, come in ogni commedia, è la credibilità del montaggio, il forte slancio recitativo di un Gassman-comico, dopo anni di mitizzazione drammatica senza successo, che balbetta, sa usare poco la mimica e molto la freschezza, a rendere “I soliti ignoti” un film godibile dall’inizio alla fine, con battute celebri, personaggi entrati nella storia (meno riuscito quello di Renato Salvatori, che ha dalla sua tre splendide e floride “mamme” e l’interazione con la bella e meno gattopardesca Claudia Cardinale). L’Italietta di Monicelli ride per non piangere. Disillusioni e sogni infranti, con una certa eticità di buoni sentimenti che regna sovrana. Il colpo è un fallimento, la banda del buco viene, come consuetudine, ribattezzata “I soliti Ignoti”, quasi una rubrica fissa di poveri perdigiorno sui quotidiani locali. Due figure sono emblematiche ed antitetiche, paragonabili per l’età: Capannelle non ha nulla, è un cencio vecchio che respira, eppure sorride con grazia alla vita, quasi beato delle piccole cose. E’ l’elemento più in basso della scala sociale, eppure ispira una simpatia ed una tenerezza mai vista, uomo buono con tanti sogni, mentre Dante Cruciali (Totò) è colui che ha imparato a stare al mondo, occultando le sue azioni, con un certo prestigio intorno, ed un certo numero di contanti illeciti che giungono a casa sua, nonostante il via vai di forze armate. Se Capannelle non si allinea al sistema, Dante è perfettamente allineato al mondo e lo sfrutta tramite l’arguzia. Consigliato agli amanti dei vecchi film italiani, tradizione grandiosa.

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