“Ho conosciuto Alfio Fascendininel settembre del 1991. Eravamo ad Argenta, nel Delta del Po, per una delleprime edizioni – sicuramente una delle più riuscite – di “Saperi & sapori”,la manifestazione di alta cucina voluta da Igles Corelli, allora chef delleggendario “Trigabolo”. Alfio era lì a rappresentare, con Franco Vai, ilmitico “Cavallo Bianco di Aosta”, da tempo insignito delle due stelle Michelin,che avrebbe chiuso i battenti, dopo poche settimane, per motivi i piùdisparati. Quella sera, in sostituzione di Paolo Vai, trattenuto in Valle daimpegni di lavoro, una ingentilita e gustosissima “carbonade” con la polentaaccompagnata da un piccolo grande vino rosso valdostano. Il piatto e losplendido gioiello di Dio Bacco furono una autentica rivelazione. Per me,ful’inizio di una storia avvincente che tuttora mi lega saldamente ai luoghi ealla gente della Valle d’Aosta. È strano, adesso, pensare che i miei rapporticon la bellissima regione alpina presero corpo in provincia di Ferrara. Insiemead Alfio, al quale rivolsi i miei complimenti più sinceri, si erano esibiti,tra gli altri, anche Alfonso Iaccarino e, al dolce, Maurizio Santin. Da allora,l’ho incontrato una infinità di volte, Alfio Fascendini: potrei descriverle unaad una, momento per momento, ricetta per ricetta. Commento per commento: primaall’Hotel Europe, nel cuore di Aosta, dove ha maturato una fruttuosa esperienzaprofessionale e formativa, e successivamente al “Vecchio ristoro”, nel fatidicoscrigno del buon gusto aperto con Katia, la sua gentile consorte. Lei non milesina le sue illuminanti lezioni enoiche riguardanti le novità e i continuiprogressi della produzione locale. Ma la sua competenza, va ben oltre e nesottolinea le qualità di perfetta padrona di casa che sa accogliere gli ospiticon indubbia classe. Con Alfio è così: assaggio i suoi “lavori” e dopo mi piacediscuterne indugiando a tavola. Tutto per imparare, s’intende: perché è padronedella tecnica, acquisita ed affinata grazie alla scuola e alla costanteapplicazione, perché è bravo e sensibile, perché si mette continuamente indiscussione. Ma soprattutto perché sublima in sé la grande cultura alimentaredella Valtellina, dove è nato, e della Valle d’Aosta, la terra dove lo hacondotto il destino. È interessante, così, seguirlo negli avvincenti confrontitra le caratteristiche organolettiche di un “bitto” di dieci anni diaffinamento e una “fontina” d’alpeggio. Ma è ancora più avvincente il seguirlonei tanti risvolti della sua rigorosa progettualità creativa, una dote che loispira felicemente nelle varie partite, dagli antipasti al dessert. Moltobuona, per dire, è la tartare di fassone con le appetitose gelatine che lacaratterizzano. Di principesca sostanza il rarissimo (altrove) “marbrè” dibollito con la deliziosa “bagnetta” verde. Decisamente gradevole l’orzo perlatomantecato allo zafferano con i carciofi croccanti e i filetti di orataaffumicati. Squisiti i calamari ripieni di cereali su crema di patate al timo.Di esemplare succulenza il capretto di Saint-Pierre. La mia soddisfazioneprosegue di pari passo con le diverse portate fino al voluttuoso finale con lapreparazioni zuccherine assortite, il panda dolci e la piccola pasticceria. Si,il pane è una bontà. Prima di arrivare alle tipologie, provate quello alle castagne.Oppure, quello con le melanzane, il pomodorino ciliegia e le acciughe. (SalvatoreMarchese, giornalista)
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