Recensione anomala del romanzo “Quattro etti d’amore, grazie” di Chiara Gamberale
“Niente è sempre meglio di qualcosa, per chi non può avere tutto.”
Dopo la strabiliante avventura della D’Urso e del suo #mappazzone ai semi di lino passiamo ad un libro serio, nel senso di un libro vero, con una vera scrittrice che si è seduta al computer e ha scritto ciò che ha pensato. Strano, vero? Però gente così esiste.
E’ incredibile come certi libri riescano a trasportarti accanto ai personaggi che li popolano, riescano a farti vivere lì, al loro fianco, a vedere quello che vedono loro, a vedere come si comportano al punto che a pagina tot. vorresti lasciare il libro sul divano o sulla scrivania o sulla poltrona del treno e correre da loro ad abbracciarli, a dire che anche tu ti senti così, a dire “guarda che non sei l’unica, anche io…”. Poi realizzi che stai leggendo solo un libro, che forse devi vedere uno psichiatra se non riesci a scindere la realtà da una pagina cartacea anche solo per qualche secondo. Oppure ti rendi conto che la scrittrice è proprio brava. Esatto. La verità è che Chiara Gamberale è proprio brava. Riuscire a trascinare il lettore nel vento del racconto, nella corrente degli eventi raccontati è raro. Lo è ancora di più se gli eventi non sono così importanti, non sono eventi storici o discorsi sui massimi sistemi, ma sono semplici vite. No, forse “semplice” è un aggettivo riduttivo per una vita. Sono vite.
“Quattro etti d’amore, grazie” è, come dichiarato dall’autrice, un romanzo sull’insoddisfazione. E ce n’è di insoddisfazione in queste pagine, si respira, si tocca. Due vite parallele, per dirla alla Plutarco, che si incrociano tra gli scaffali di un supermercato. Da una parte Tea, attrice protagonista della serie televisiva più in del momento (“Quella soap opera in cui reciti”, “Non è una soap opera, è una serie”); dall’altra Erica, madre di famiglia, impiegata di banca. Due vite completamente diverse che si sognano a vicenda. Tea vive reggendosi su un filo fatto da un amore complicato, strano, che non è amore ma è “bamore”, con un marito egocentrico, intellettualoide e in perenne ricerca di chissà cosa, un complicatore di cose; ha un passato da cleptomane, un padre inarrivabile con una geometrica visione del mondo, compra cibi impossibili e, agli occhi della “gente normale”, sembra il ritratto del successo, della bellezza, della felicità. Erica è quella “gente normale”, ha un lavoro stabile, una famiglia stabile, una madre fuori dagli schemi, il nostalgico ricordo della classe del liceo, una spesa familiare fatta di pasta, latte e ingredienti per pranzetti da mamma e moglie perfetta.
Erica e Tea vivono l’una sognando di essere l’altra, immaginando che la vita dell’altra sia migliore della propria, idealizzandola.Le pagine di questo libro vanno giù come l’acqua per la facilità con cui arrivano al lettore, ma bruciano la gola come una tequila per i sentimenti che riescono a tirare fuori da chi legge. Non possiamo nasconderci: l’uomo è fatto per essere insoddisfatto. L’insoddisfazione può essere positiva, aiutarci ad andare oltre, ad incuriosirci, a ricercare. Ma nella donna spesso l’insoddisfazione diventa tormento e la ricerca del cambiamento rischia di capovolgere completamente le nostre vite.
Non so se avete mai sentito parlare Chiara Gamberale. Io sì, un sacco di volte. La ricordo ancora giovanissima in una trasmissione sulla lingua italiana: io ero quasi ancora una bambina e, puntuali, io e nonna non ne perdevamo una puntata. Ecco, se vi capitasse di sentirla parlare, del libro ma anche di qualsiasi altra cosa, ritrovereste la sua voce nel libro, come se lo leggesse lei. Dicevo prima che secondo me è brava, perché ogni parola che c’è nel libro è letta da me, sì, ma è anche come se fosse letta a me, e oltre a leggere il lettore ascolta, si trasforma in ascoltatore. Non so se riesco a spiegarmi bene.
I dialoghi (il libro ne è pieno) sono straefficaci, serrati, continui, reali. I riferimenti all’interno del libro sembrava che fossero lì apposta per me, dal “Deserto Rosso” di Antonioni (film che mi inquietò molto nella sua cervellotica espressione del disagio che “gli altri” non capiscono) a “Peter Pan & Wendy” di Barrie (con la crudele realizzazione che gli adulti non possono più volare). Io lo so che chiaramente queste cose non erano scritte per me, però mentre leggevo pensavo che lo fossero.
E’ davvero strano quello che riesce a costruire in te un bravo scrittore. Può raccontare anche la cosa più banale del mondo, ma, se la scrive bene, per chi legge diventa la cosa più importante del mondo. Un meccanismo complicato, inspiegabile e, per questo, magico. Un viaggio. Anche se fatto tra strade conosciute e supermercati tutti uguali, resta sempre un viaggio. E lo ricorderai.
TITOLO: Quattro etti d’amore, grazie
AUTORE: Chiara Gamberale
EDITORE: Mondadori
PAGINE: 242
ANNO: 2013
PREZZO: 17 euro; e-book 9,99 euro
CONSIGLIATO: Sì