Incontriamo per un caffè Maria Marini, autrice di “Buon Sangue”, romanzo che sta riscuotendo un buon successo di pubblico e critica.
Andiamo a conoscere qualcosa in più sull’autrice nell’intervista di Alessandro Noseda
Intervista a Maria Marini a cura di Alessandro Noseda
Benvenuta a Giallo e Cucina e grazie per il tempo che ci dedichi!
Eh, grazie a voi!
Ci racconti chi sei e perché leggi e scrivi?
Sono un mostro: un po’ guerriera, un po’ insegnante di lettere, un po’ archeologa. Friulana dentro, pratico scherma antica e faccio rievocazione storica da tanti anni. Innamorata della storia, ossessionata dal medioevo. Leggo perchè ogni libro è un meraviglioso calderone che ribolle di sentimenti; scrivo per fuggire dalla realtà contemporanea, che spesso mi sta un po’ stretta.
Quando e come è nata la passione per la lettura? E l’esigenza di scrivere?
La passione per la lettura è nata a sette anni, quando la nonna mi regalò “il Mago di Oz”. Per la scrittura (liberi di non crederci) è nata ancor prima, ho iniziato a raccontare appena ho imparato a mettere una letterina dietro l’altra. Erano piccoli pensierini, storielline, ma pieni di fantasia.
E la musica di sottofondo mentre scrivi? A mano o col p.c.?
Un punto per la contemporaneità: pc. Musica: o classica, o storica (barocca/medievale) o colonne sonore di film (dal Gladiatore in poi).
Buon Sangue, com’è nata l’idea e perché?
L’idea è nata leggendo un trattato di Duby sul ruolo delle donne nel medioevo. Le donne non avevano un reale potere ufficiale (o lo avevano raramente); il loro potere era sia “sotterraneo”, sia era legato al sangue nobile che scorreva nelle loro vene. I giovani della casata facevano “carte false” pur di avere tra i propri antenati nomi illustri, eroi o crociati. Da qui l’idea.
I tuoi personaggi sono frutto di fantasia o prendi spunto dalla realtà quotidiana?
Entrambe le cose. L’ambiente della rievocazione storica (ma anche quello lavorativo) viene in aiuto, ed è in grado di fornire grandi varietà di tipi umani.
Dove/come ambienti i racconti?
La musica che ascolto in quel momento mi accompagna per manina. In ogni caso ambiento i miei racconti sempre nel passato.
Quali sono state le maggiori difficoltà nella stesura della prima bozza? E nel seguito?
In tutti i casi, trovare il tempo e la concentrazione per scrivere. É la cosa più difficoltosa. Per il resto mi diverto tantissimo: scrivere per me è come prendere un aereo e scappare lontano lontano.
Segui una scaletta o ti lasci guidare dalla storia?
Mi lascio guidare.
Cosa ci puoi raccontare della tua esperienza editoriale e del rapporto con Editor e Editore?
Sinceramente: dico solo che sono stata fortunata, ho trovato delle ottime persone, che mi hanno dato dei consigli vincenti.
Come lettrice, sei fermo alla carta o ami anche gli eBook?
Affezionatissima alla carta!
Ci sono autori ai quali ti ispiri e che rappresentano per te un benchmark?
Non c’ho mai pensato, a dire il vero …
Hai altri progetti in cantiere?
Spero di concludere presto l’ultima correzione del prossimo; inoltre è pronta una raccolta di racconti, finita ma da limare un po’ (e integrare).
Un buon consiglio a chi ha la sua storia nel cassetto e non ha ancora trovato chi gliela pubblichi?
Sarò banale, ma non perdersi mai d’animo!
Una domanda che non t’hanno mai fatto e alla quale, invece, vorresti tanto rispondere?
Non saprei davvero. Quando ho presentato il libro speravo che non mi facessero proprio domande, per paura di non saper rispondere … mi sentivo uno dei miei alunni prima di un’interrogazione!
Lasciaci con una ricetta e/o una citazione.
Odio cucinare, e mi riesce pure malissimo. Una volta ho bruciato la minestra, un’altra ho fuso persino il pomello del coperchio della verdura lessa. Quando i miei amici vengono da me a cena, si assicurano che non sia io a far da mangiare. Però ho una ricetta che mi riesce quasi sempre, ne abusavo durante gli anni di appartamento in università. Il concetto è quello dell’insalata di riso: la fai, dura qualche giorno e basta levarla dal frigo, affondarci il cucchiaio, e ricacciarla in frigo finito il fiero pasto, pronta per il pranzo successivo, e non devi nemmeno sporcare il piatto, perchè puoi mangiare direttamente dal contenitore, se, ovviamente, sei il solo commensale.
Si chiama IL PESCE FINTO. Fai lessare le patate in acqua salata. Le peli. Schiacciapatate. Fai raffreddare un po’. Poi ci cacci dentro tonno naturale da scatoletta (ma in casi disperati riesce anche con lo sgombro), capperi, acciughe tagliate sottili, generosamente prezzemolo, e per gli sprezzanti del pericolo un po’ di maionese. Mescola bene (vedrai che fai bicipiti). Viene un pastone, tipo sbobba da legionario. Con le mani pulite (quindi non da legionario) si mette il pastone su un piatto, gli si dà la forma di un pesce (un cappero per l’occhio), lo si lascia in frigo qualche oretta e lo si toglie quando è ora di mangiare. Si può gustare con contorno di sciatteria, sul divano o in terrazzo o davanti a una puntata della tua serie preferita, piedi sul tavolino, annafiato da birra fresca.