Magazine Cucina

Oggi parliamo con… Raul Montanari

Da Gialloecucina

Incontriamo oggi Raul Montanari, uno degli scrittori più prolifici del panorama italiano. Maggiori informazioni sull’Autore sul suo sito

http://www.raulmontanari.it

Intervista a Raul Montanari a cura di Alessandro Noseda

Buongiorno Raul e grazie per apririci la tua cucina!

 Buongiorno Alessandro. Allora, già che ci sei, per tenere alto l’onore del tuo blog che ne diresti di brandire il coltello e sfilettare tu i persici? E’ una noia tale.
Cosa prepariamo?

Un grande classico lacustre: risotto con i filetti di persico reale. Un consiglio per tutti: se entrate in un ristorante anche pretenzioso e vi servono dei filetti amarognoli, sappiate che non sono di persico ma di scardola, un pesciaccio immondo che si nutre di alghe putrescenti e che diversamente dal prezioso persico si pesca a quintalate. Respingete il piatto citando la scardola: rimarranno sbalorditi dalla vostra competenza e non ve lo metteranno in conto. A me è capitato l’estate scorsa, sul lago d’Iseo. Ho chiesto di vedere il cuoco perché volevo tirargli in faccia i filetti uno a uno, ma il cameriere me l’ha impedito.
Ti ho portato il dolce del Santo. Lo conosci?

Sai che sono poco esperto di dolci? Ho quella mania maschile del salato… Sarà buonissimo, lo capisco da come lo rimiri.
Apro il vino?

Ma certo, lo usiamo per tirare a cottura il risotto e poi ce lo beviamo. E’ una sciocchezza usare un vino scadente per cucinare: come regola dev’essere abbastanza buono perché lo si possa bere con il piatto preparato.

Non sapevo fossi in gamba anche tra i fornelli! Complimenti!

Ecco, fammeli adesso che non hai ancora assaggiato il risultato.
Metto della musica di sottofondo? Cosa ti piace ascoltare mentre cucini?

Direi che un cool jazz all’aroma di West Coast è perfetto. Stan Getz, o meglio ancora Paul Desmond, il grande e misconosciuto sassofonista di Brubeck. Quasi nessuno sa che fu lui a comporre Take Five, una delle poche melodie jazz che tutti conoscono e hanno canticchiato almeno una volta nella vita. Dù-da dù-da duu-da, dù-da dù-da duu-da…

 

Ecco, intanto che il riso cuoce ci racconti chi sei e perché leggi e scrivi?

Da piccolo ho immaginato di fare diversi mestieri, dal caldarrostaio (giuro) al tranviere, dall’avvocato al giocatore di scacchi professionista. A un certo punto, ormai adolescente, mi è successa una cosa strana: ho scoperto che nei libri c’è la verità. Quella verità che la televisione ti nasconde, che i genitori alterano per proteggerti, che gli amici ti rimbalzano addosso spesso peggiorata, la stessa verità umana davanti alla quale proprio tu spesso sei cieco e sordo, ecco, la puoi trovare nei libri. Non in tutti, naturalmente. Già leggevo tantissimo, mi è venuta voglia di scrivere per provare a dirlo anch’io, un pezzetto di verità.
Perché hai accettato di accordare un’intervista a Giallo e Cucina? È un Blog che segui?

Dire che lo seguo sarebbe eccessivo, anche perché purtroppo ho pochissimo tempo; però lo conoscevo tramite Angie Cafiero, che mi è molto simpatica e che è stata, curiosamente, una delle primissime persone a chiedermi l’amicizia su Facebook.

I tuoi romanzi, come nasce il progetto?

Nel mio caso, sempre dalla trama. Per me la trama viene prima dei personaggi. Ho un file con moltissimi spunti narrativi, alcuni buoni per testi lunghi altri per testi brevi, e lo aggiorno continuamente con nuove storie. A questo stadio, per designare i personaggi uso le lettere dell’alfabeto. Per esempio, l’ultimo romanzo che ho pubblicato è nato più o meno in questa forma: “A e B, adolescenti, fanno uno scherzo atroce a C, che va molto al di là delle loro intenzioni e gli rovina la vita per sempre. Poi i loro destini si dividono. Ma 25 anni dopo, per vendicare suo figlio, la madre di C ordina ad A di uccidere B, offrendogli in cambio qualcosa che lui non può rifiutare”. E’ il soggetto del Tempo dell’innocenza. Arrivato a questo punto sono come un regista che ha in mano il soggetto del suo film e prima di procedere fa il casting, ossia sceglie gli interpreti per i vari ruoli. Chi sarà A? Che faccia, che corpo, che carattere vanno bene per B? La differenza è che il regista si rivolge ad attori viventi, io a personaggi che devo ancora inventare.
Dove scrivi? In studio, al parco, in terrazza…? carta e penna o direttamente al p.c.?

Nel mio studio, rigorosamente sul pc perché la mia grafia è incomprensibile anche a me.

Preferisci il silenzio o ami musica di sottofondo?

Ho la fortuna di vivere in una casa silenziosa. Uso la musica solo quando ho bisogno di aiutare la fantasia nella prima stesura; allora spesso prendo un pezzo che va bene per mettermi nello stato d’animo giusto e lo faccio andare in loop, a volte anche 20 o 30 volte di fila, mentre scrivo. Ma la revisione del testo va fatta nel silenzio, altrimenti si cade nel terribile errore descritto da Pontiggia: se rileggiamo ciò che abbiamo scritto tenendo una musica in sottofondo, ci sembra più bello di quanto sia in realtà.
“Il tempo dell’innocenza” è la tua ultima fatica. Da dove hai tratto l’ispirazione? Quanto rubi alla realtà e quanto è frutto della tua fervida fantasia?

La realtà è sempre il punto di partenza. Perfino quando ci sembra di avere inventato qualcosa di sana pianta, c’è sempre dietro un fatto che abbiamo incontrato nella realtà – la nostra vita, un libro, un film… E’ come nei sogni. Freud dice che, nonostante il suo aspetto spesso astruso e irreale, il sogno non inventa nulla, si limita a ricombinare elementi di realtà, a distribuirli in modo sorprendente. Così, nel caso di quel romanzo all’inizio c’è stato il ricordo di un brutto scherzo che abbiamo fatto a un amico, io e un altro ragazzo. Avevamo sedici o diciassette anni. Lo scherzo finì bene, ma ho cominciato a immaginare cosa sarebbe successo se fosse andata in un altro modo…
Come delinei i personaggi? Segui una scaletta o ti fai guidare dalla storia?

Guai a inventare i personaggi man mano che si va avanti. Arrivo a dirti che è più consigliabile avere bene in mente i personaggi e improvvisare la trama, al limite, che è poi il metodo di Stephen King. Lui dice: parto da un personaggio, lo metto in una certa situazione e vedo cosa viene fuori scrivendo. Io mi sento più tranquillo se ho preparato a dovere sia la trama sia i personaggi sia tutto quello che c’è da sapere per quella storia, a partire dai luoghi e dal tempo in cui si svolge. Ho una scheda con 24 domande che faccio a ogni personaggio, come se lo intervistassi. Sono tutte le cose che voglio sapere di lui, e anche se molte rimarranno fuori dal romanzo serviranno comunque a dare compattezza e coerenza al personaggio.
Ci spiegheresti il concetto di post-noir?

E’ semplice. La narrativa deve sempre avere a che fare con qualcosa di eccezionale, per poter attrarre il lettore, non può limitarsi a ricopiare la vita. Ora, se ci pensi la narrativa di genere di solito mette l’eccezionalità nei personaggi (il detective e il killer del poliziesco, il mostro dell’horror) o negli ambienti (gli scenari extraterrestri della fantascienza, quelli fiabeschi del fantasy…), ossia la presuppone. Io trovo più interessante raccontare storie di persone normali che si trovano di colpo a vivere situazioni eccezionali. Il post-noir è semplicemente questo. Una narrativa che ha la stessa tensione del noir, ma tralascia deliberatamente i suoi luoghi comuni, e quindi aspira a essere narrativa senza aggettivi, narrativa pura, pur rimanendo appassionante da leggere come la narrativa di genere.

La trama del Tempo dell’innocenza illustra perfettamente il concetto, ma quasi tutti i libri che ho scritto si possono descrivere in questo modo. I personaggi sono uomini comuni come tutti noi e vivono le nostre stesse emozioni, però la situazione particolare in cui si trovano proietta queste emozioni su uno schermo più grande, le ingigantisce, le rende più affascinanti da guardare e da ritrovare in noi stessi.
Quali sono state le maggiori difficoltà incontrate nella stesura di un romanzo?

La prima stesura per me è una vera sofferenza, perché è come se la storia diventasse la mia tiranna e occupasse tutti i miei pensieri e i miei spazi vitali, al punto di disturbare la mia vita quotidiana e i miei rapporti con chi mi sta vicino. Per questo sono obbligato a scrivere molto velocemente: non impiego mai più di un mese a fare questo primo passo fondamentale. Invece le revisioni e correzioni sono molto divertenti da fare. E’ lì che si esprime il mestiere, l’artigianato letterario, l’esperienza.

Del rapporto con l’Editor cosa puoi dirci? Sei geloso dell’opera o accetti di buon grado suggerimenti e “intrusioni”?

Sono molto amico del mio editor, Francesco Colombo, che d’altronde non ha mai avuto granché da lavorare con me perché gli porto testi già a posto al 99%. In compenso è stata sua l’idea di partenza del mio prossimo romanzo, che uscirà all’inizio del 2015.
C’è un titolo a cui sei particolarmente affezionato o non hai figli prediletti?

Sono davvero come figli, specie dal punto di vista di uno che ormai di romanzi ne ha scritti quattordici (due ancora inediti) e che contando anche libri di racconti, poesie e saggi ha superato quota venti libri. Quindi, un po’ meschinamente, ti confesso che quando vado a trovare il lettore mi porto dietro più volentieri certi figli rispetto ad altri, perché so che con loro faccio sempre bella figura. Esattamente come certi genitori, no? Ma non vuol dire che voglia meno bene agli altri figli.
Hai altri progetti in cantiere? Quando ti vedremo ancora in libreria?

Come dicevo prima, il prossimo è già pronto e uscirà con Einaudi Stile Libero fra un anno o poco meno. Intanto però mi porto avanti e ne scrivo un altro, che ne dici?

Descriviti come lettore. Quali libri compri? Hai un genere preferito o spazi a seconda dello stato d’animo del momento?

Leggere è molto più importante, più bello, più gratificante che scrivere. Solo gli autori mediocri la pensano diversamente. Il grande scrittore argentino Jorge Luis Borges, che considero uno dei miei numi tutelari, ha detto: “Altri si vantino pure dei libri che hanno scritto; io sono orgoglioso di quelli che ho letto”. Per quanto riguarda me, conosco abbastanza a fondo i classici anche come traduttore, a partire dalla letteratura greca e latina, e credo molto nell’idea che esista una gerarchia di titoli, un canone con cui uno dovrebbe avere familiarità come lettore. Insomma, che ci siano libri che uno “deve” aver letto, specialmente se aspira a essere uno scrittore creativo. Non mi metto a fare nomi e titoli altrimenti non la finiamo più. La narrativa di genere la leggo poco, ma cerco di scegliere gli autori in modo da non essere deluso.

A proposito di cibo e cucina: nessuno ha mai scritto i polizieschi bene come Rex Stout! Molti giallisti hanno inventato trame splendide, ma se si parla della qualità, della grana della scrittura Stout sta un gradino sopra tutti. E Nero Wolfe è il più originale investigatore di tutti i tempi, il primo epicureo che rompe con la figura del detective duro e ascetico che discende dal Dupin di Poe e dai ruvidi eroi dell’hard boiled americano. Lui è un edonista scatenato e capriccioso, un concentrato di bambinesca gioia di vivere, e leggere le sue avventure è rigenerante.
Un consiglio ad un esordiente che ha la sua storia nel cassetto e non ha trovato ancora nessun editore disposto a pubblicarla se non a pagamento?

Rivolgersi a un buon agente. In Italia la figura dell’agente ha fatto passi da gigante negli ultimi 15 anni; quando ho cominciato a cercare un editore, a fine anni ’80, quasi non esistevano agenti. E’ un intermediario fondamentale fra autore ed editore, e i soldi che si investono su di lui sono molto ben spesi. Dovendo fare un nome, credo che Loredana Rotundo sia in questo momento in Italia la migliore agente per gli esordienti.

Ti piace presentare i tuoi libri al pubblico? Una domanda che non ti hanno mai fatto (e a cui avresti voluto rispondere) ed una che t’ha messo in vera difficoltà?

Mi piace moltissimo perché per fortuna ho una buona presenza scenica. Di solito alle mie presentazioni nessuno fa domande, il che spero sia un buon segno (ma può darsi di no). Mi sarebbe piaciuto se qualcuno mi avesse fatto la domanda che molti anni fa ho sentito porre al grande Bret Easton Ellis: “Scusi, ma lei è cretino come i suoi personaggi?” Divertentissima! Mi hanno messo in difficoltà, occasionalmente, obiezioni di tipo moralistico, perché mi prende una gran pena per chi le solleva e divento gentilissimo, conciliante, dispiaciuto.


Un autore (o più) che costituisce per te un benchmark. E perché? Quale suo libro consiglieresti ai nostri lettori? Fagli la domanda (anche indiscreta) da tempo hai in canna!

 

I miei benchmark sono tutti morti. Allora, diciamo che in una seduta spiritica mi rivolgerei a Kafka, che come molti considero il più grande scrittore mai vissuto, e gli chiederei se è vero che quando lesse il primo capitolo del Processo davanti a un gruppo di amici dovette interrompersi perché continuava a ridere come un pazzo. L’ho sempre trovata una scena straordinaria, visto che il Processo è uno dei romanzi più tragici che siano mai stati scritti, e vorrei chiedergli come andò davvero quella volta.
Oltre alla scrittura, alla lettura e ai corsi di scrittura creativa, come ami impegnare il tuo tempo?

 

Intanto una cosa a cui tengo: la mia scuola di scrittura creativa, nel 2013, è quella che ha ottenuto i migliori risultati in tutta Italia. Ho avuto 11 pubblicazioni di allievi con editori come Mondadori, Rizzoli, Feltrinelli, Guanda, Fazi, Fanucci, e uno di loro si è classificato terzo al Campiello. E’ un lavoro che faccio dal 1999 e che mi assorbe moltissimo, perché sono l’unico docente. Insegnare mi dà una felicità perfino superiore, a volte, a quella della scrittura.

Nel poco tempo che mi rimane mi dedico agli affetti, a girare per Milano in bici incazzandomi con taxisti e automobilisti in genere e alle mie due passioni inattuali, gli scacchi e la pesca a mosca. E’ una grande fortuna che la mia fidanzata condivida la seconda, così non dobbiamo mai litigare quando progettiamo un viaggio: ci dev’essere sempre un fiume o un torrente a pochi chilometri da dove soggiorneremo!


Come consuetudine di Giallo e Cucina, ti chiediamo di chiudere con una ricetta ed una citazione! E grazie ancora dell’invito a pranzo!

 

La ricetta è la stessa che tempo fa ho confidato proprio alla nostra amica Angie… chissà se ha provato a realizzarla! Angie è ancora viva, vero?

L’ho ereditato dalla mia nonna materna. E’ una pasta al tonno, ma fatta in un modo originale. Il sugo si prepara bene in un pentolino piccolo e alto, come quello dove si mettono a bollire un paio d’uova, per capirci.

Si fanno soffriggere per 3 minuti olio e poca cipolla (meglio lo scalogno); eh sì, cipolla e non aglio, prima sorpresa!

Si aggiunge una scatoletta di tonno, che va sminuzzato con cura in un piatto prima di versarlo nel pentolino, perché è importante che sia proprio spappolato e sarebbe difficile farlo nel pentolino se si è scelto un recipiente piccolo e alto come suggerito.

Dopo qualche minuto si aggiunge un mezzo bicchiere abbondante di vino e qualche foglia di salvia fatta a pezzi con le mani. Seconda sorpresa: salvia e non prezzemolo. Dopo altri 10 minuti ci va un po’ di salsa concentrata di pomodoro sciolta in un bicchiere d’acqua calda, oppure mezzo barattolo di conserva.

Si mescola, per insaporire si mette tanto dado quanto basta (che sia buono) e si porta a cottura. Per capirci, il tempo totale dall’accensione del fuoco è di circa mezz’ora.

Versato su spaghetti fini al dente, il risultato è sbalorditivo. Il sapore del tonno non si sente più, è diventato qualcos’altro, tanto è vero che come tocco finale nel piatto va una spolverata abbondante di parmigiano! Tutti quelli che hanno assaggiato questa pasta ne sono diventati dipendenti, e nessuno ha mai indovinato che il sugo era a base di tonno, se non glielo dicevo io. Alcuni pensavano che fosse pollo.

La citazione? Ce ne sono così tante. Per rimanere in tema, dopo aver magnificato Nero Wolfe lascerei spazio a una battuta folgorante di Archie Goodwin: “Sapete, ho come la sensazione di aver già visto la vostra faccia da qualche parte” gli dice l’indiziata di un caso in cui Goodwin agisce in incognito. “Oh, non è strano” risponde lui, disinvolto. “Di solito le belle ragazze, prima di incontrarmi, mi sognano!”.

Grazie a voi!

Adesso tu lavi i piatti e io asciugo. Dai, non fare quella faccia, lavare i piatti è un’arte! Sai che nei monasteri zen i monaci di maggior prestigio si contendono le incombenze più umili? Lava, lava…

 



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