ed io ho bisogno di condividere il mio dolore con chi avrà la cortesia di pregiarmi della sua attenzione.
Lo faccio perché inetta ed insofferente all'indifferenza, perché corrosa e irritata dalla sofferenza che mi lacera e squarcia l'animo ogni volta che muore uno di noi.
Un urlo disperato quanto un'asfissiante apnea.
E perché il suo percorso, già di tanti altri che furono parte delle nostre vite, possa rinnovare il ricordo di quei cuori impavidi che, senza sosta, hanno lottato inutilmente contro la loro Sclerosi.
Illudendomi che, in qualche modo, le mie parole possano servire a chi resta almeno ad apprezzare le piccole cose che troppo spesso si tendono a sottovalutare. Oltre che a smuovere qualche coscienza dormiente.
Terry era una donna piena di sogni ed una giovane sposa quando si ammalò di SM, all'incirca 11 anni or sono, poco dopo la nascita di due bellissime gemelle. Aveva pressappoco 32 anni se non ricordo male.
Negli anni a seguire, nonostante le terapie farmacologiche e tra una sospensione e l'altra a causa delle controindicazioni stesse, fu progressivamente colta da un peggioramento tale da vedersi costretta sulla sedia a rotelle.
Condizione mai accettava, preferendo il letto o di farsi trascinare a braccia pur di non piegarsi a quelle quattro ruote.
Nei primi otto anni di malattia, nonostante avesse assunto tutte le terapie farmacologiche disponibili, la sua bestia continuò inesorabilmente il suo percorso. Purtroppo la crudeltà del suo destino non si ridusse né si arrestò a questo.
Io entrai nella sua vita nel 2012, quando un'amica di Facebook mi scrisse chiedendomi di rintracciarla e aiutarla per quello che era possibile ed io andai a conoscerla.
Successivamente, Terry decise di sottoporsi all'intervento di CCSVI e non perché qualcuno di noi sperasse in un miracolo ma per tentare almeno di rallentare la malattia.
A quei tempi, era prossima alla sospensione del Tysabri secondo quello che era il protocollo del farmaco, pertanto facemmo in modo da programmare l'intervento prima che arrivasse l'effetto rebound(così come descritto e previsto negli abstract della sperimentazione stessa), quindi entro i due mesi dalla sospensione stessa.
A quel punto, avendo provato tutte le terapie indicate per il trattamento della SM, non poteva far altro che attendere un nuovo farmaco in sperimentazione o di affidarsi alla Big Idea. I tempi e le circostanze non concedevano troppi dubbi, pertanto ci affidammo tutte al tanto discusso trattamento dell'Insufficienza Venosa Cronica Cerebro Spinale. Eravamo quattro amiche, tutte in sostegno all'altra e con un enorme barlume di speranza. Lei era quella a cui la Sclerosi aveva rubato di più.
A pochi giorni dall'intervento e con immenso stupore, verificammo in lei un recupero inaspettato rispetto a quelli che erano i deficit acquisiti fino a quel momento:
da che camminava solo sorretta da due persone, ormai poteva avanzare poggiandosi al muro. Saliva e scendeva le scale reggendosi con una sola mano, quando prima della PTA aveva una rigidità che a stento le permetteva di tenere le posate.
In quei 5 mesi tutto sembrava un sogno per noi, per i medici, i familiari ma soprattutto per lei che nei tempi andati era stata un'insegnante di ballo di coppia. Cominciò a fare uso di cannabis ed anche quella sembrava giovarle nella rigidità; anche il suo fisioterapista era entusiasta.
Quei benefici le stavano ridando la speranza di poter ricominciare ma, destino infame, volle che fosse investita da un avvenimento personale, di tipo affettivo, che colpì duramente ed irrimediabilmente il suo amor proprio quanto la fiducia nel prossimo, scaraventandola inesorabilmente in una condizione simile alla precedente.
Terry smise di usare la cannabis, soprattutto per un onere economico, e non volle più fare terapia salendo e scendendo le scale che la isolavano dal resto del mondo.
Era diventata triste, il suo corpo era destinato a restare la sua prigione più di quelle quattro mura che la dividevano da quella vita che ormai poteva osservare solo attraverso vecchi scatti fotografici. Fotografie meravigliose, immortalanti una bellezza spregiudicata, aggressiva ed infinitamente dolce al tempo stesso.
Tra la sofferenza e la nostalgia dei tempi andati, trascorreva nuovamente le sue giornate dormendo; unica evasione erano la connessione ad internet, la telefonata o la visita di un'amica o un parente quando possibile. Sempre distesa su quel letto, tra un indolenzimento e l'altro. E intanto le sue bambine crescevano, osservandola nel suo guscio, ed i suoi familiari facevano quanto era possibile per accudirla seppur con grandi difficoltà.
Cercando di trovare un'alternativa a quella triste routine, le consigliai di ricoverarsi presso una struttura che potesse ospitarla per una fisioterapia mirata ma quella più vicina e decente era più una casa di cura per anziani che altro. La tristezza e lo sconforto presero nuovamente il sopravvento. Terry, tornata a casa, ricominciò ad accusare un tremore fastidioso, i suoi occhi palpitavano facendo scattare le pupille da un estremità all'altra delle orbite. Poco dopo finì col ritrovare anche difficoltà nella parola.
I neurologi interpellati furono tutti concordi sul fatto che la ricaduta dipendesse dalla sospensione dei farmaci, pertanto riprese le terapie.
Io sapevo e presagivo tra me e me che le sarebbe bastato vivere una condizione psicologica e sociale diversa per riprendersi ed ero sicura che l'accumulo di tante sostanze in quegli anni le avrebbero indebolito ancora di più l'organismo, per quanto forte, ma non potevo che restare ad osservare ed affidarmi a chi ne sapeva sicuramente più di me.
Nei mesi successivi alla ripresa della terapia, subentrò un'infezione alla vescica oltre che un virus influenzale persistente; le vie respiratorie sembravano compromesse da una bronchite mal curata, invece era subentrato un danno ai polmoni. Ma noi non potevamo saperlo né immaginarlo.
Tantomeno potevamo lontanamente intuire che quelle infezioni l'avrebbero costretta ad un ricovero d'urgenza e ad un accanimento farmacologico disperato che non sarebbe servito a curarla nè a modificare il suo destino.
Terry da quella sala intensiva ne è uscita trasformata nei lineamenti e priva di vita, lasciando un vuoto incolmabile tra familiari, amici e conoscenti.
A questo epilogo mi chiedo come sarebbe andata se Teresa fosse stata seguita nel suo percorso da un team multidisciplinare, pregiando di una consulenza congiunta che avrebbe potuto preservare la salute dei suoi organi, garantendole uno scudo alla sua Sclerosi.
Perché non è di quella che è morta, non si muore di SM ma di complicanze aggiunte.
Mi chiedo inoltre come sarebbe andata se avesse avuto la possibilità di ricoverarsi in una struttura in grado di accogliere pazienti ancora socialmente utili, dandole la possibilità di vivere una condivisione diversa ed affrontare la sua solitudine traendone un confronto se non costruttivo almeno rincuorante, di supporto tra compagni di sventura e persone in grado di comprenderne fino in fondo la frustrazione fisica e psicologica. Perché, diversamente da quanto si possa pensare, le persone malate possono essere in grado di trasmettere una positività nettamente superiore a chi la vita l'ha gratuitamente, purché siano messi in condizione di farlo.
Mi chiedo cosa avrei potuto fare oltre a quanto tentato e come sarebbe finita se quest'ultimo periodo avessi avuto il tempo materiale di seguirla più da vicino.
Mi chiedo se negli ultimi momenti di lucidità abbia avuto paura e se abbia pensato a me, con affetto.
Mi chiedo se ora è serena o se avverte il dolore che rimbomba alla pronuncia del suo nome.
Mi chiedo dove sia e se rinascerà o meno, per vivere le opportunità negate in questa vita.
Mi chiedo se questo o uno simile sarà anche il mio destino e non posso fare a meno di pensare e pensare, e ripensare ancora, come e se sia possibile evitarlo. Per me e per coloro che sono ancora in tempo, oltre chi ci seguirà.
Tanti, troppi se che mi danno un'unica certezza: il non essere arrivata in tempo.
Ora posso solo immaginarla bellissima e leggiadra, come un angelo che sventola le sue vesti danzando tra le nuvole. E posso piangere e disperarmi, illudendomi che tutta questa sofferenza moltiplicata per cento, mille, un milione di persone possa smuovere le coscienze di quei medici che si rifiutano di seguirci per quella che è la loro competenza, solo perché siamo affetti da Sclerosi Multipla.
Io sogno di potermi rivolgere ad uno specialista che possa curare le patologie aggiunge alla mia Sclerosi secondo le sue competente e non in relazione al consenso del mio neurologo, addirittura tramite dichiarazione scritta. Io neanche lo ho un neurologo di riferimento e solo perché mi rifiuto di fare i farmaci convenzionali e perché non è mia abitudine fingere di assumerli per non perdere la priorità. Questione che dovrebbe essere un mio diritto a prescindere, tra le altre cose.
Io sogno il diritto di poter scegliere le mie cure senza sentirmi costantemente minacciata da un'informazione scientificamente improbabile che cerca di pregiudicare le mie speranze, impedendomi di godere a pieno dei benefici che vivo, pur non facendo terapie convenzionali. Perché è come passeggiare in una foresta incantata inseguita da spettri, vestiti da fate.
Io sogno di condividere la mia sconfitta alla Sclerosi senza dover costantemente ripetere che non esiste studio scientifico al mondo che possa provare che la SM non si possa curare diversamente da quella che è la cognizione odierna.
Io sogno che le Società Scientifiche si fermino ad ascoltare i pazienti in quanto esseri pensanti e persone aventi diritto ad un'alternativa concreta.
Io sogno per me e per i miei colleghi una considerazione oggettiva oltre che umana e se penso che la Letteratura non dice nulla di diverso da ciò che predico e seguo, non posso che chiedermi dove cominci l'eziologia e dove finisca l'ideologia dei medici che dovrebbero curare le nostre malattie.
Celeste Covino