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Oldboy

Creato il 11 novembre 2014 da Jeanjacques
Oldboy
Tutto accadde in una tranquilla mattina scolastica. Andavo in terza superiore e tutto si svolgeva come da programma: la gente che si annoiava, le compagne truzze che mandavano sms e parlavano di anticoncezionali, gli anarchici dall'altro lato che scrivevano sui muri, insieme a tutto il resto. Il professore era malato quindi aspettavamo il supplente, che entrò con un vago ritardo e con un dvd in mano. «Ragazzi, questo film è un capolavoro. Guardatelo!», ci disse, e così ubbidimmo. D'altronde, guardare un film era sempre meglio che fare lezione. Solo che quel film era Oldboy, un film coreano del quale non avevo mai sentito parlare. All'epoca quella coreana era una cinematografia che non conoscevo per nulla (internet non era ancora così preponderante nella mia vita, senza contare che in quel periodo ero più preso da anime e manga) e quindi mi aspettavo una cosa abbastanza barbosa, fatta con pochi mezzi e con dei ritmi assassini. Insomma, un po' come il povero Fantocci quando era costretto a vedersi La Corazzata Potemkin. Eppure accadde tutto il contrario. Il film aveva uno stile accattivante, la trama intrigava in una maniera esagerata e la realizzazione era ottima. Non riuscimmo a finirlo nelle due ore scolastiche, ma mi aveva preso così tanto che decisi che dovevo vederlo a tutti i costi. Fu così che mi imbattei nel film destinato a cambiarmi la vita.

Oh Dae-su non è proprio una gran persona: si ubriaca spesso e tradisce continuamente la moglie. Un giorno, precisamente la sera del compleanno di sua figlia, viene rapito e rinchiuso in una piccola stanza, mentre al mondo viene fatto credere che è scappato dopo aver ucciso la moglie. Dopo quindici anni di prigionia viene liberato, ma non è finita lì: ha cinque giorni di tempo per scoprire perché è stato imprigionato, o il suo aguzzino eliminerà tutti coloro che gli sono cari.

Raccontare cosa questo Oldboy abbia significato per me è impossibile da spiegare a parole. Posso comodamente affermare, ovviamente con tutta la modestia e umiltà possibili, che se ho iniziato a scrivere è per raggiungere quell'ideale di bellezza lasciatomi da questa pellicola. Veramente, questa storia ha tutto: mistero, indagine, azione, malattia, disagio, rabbia ma, soprattutto, cuore. Ma si tratta di un cuore nero e tossico, va specificato. Perché chi ha realizzato questo film, quel Park Chan-wook che ha fatto proseguire la sua Trilogia della Vendetta dopo il controverso Mr Vendetta, è riuscito a fare un miracolo. Anche se il soggetto non è suo. Infatti il tutto è tratto dal manga di Garon Tsujiya e Nobuaki Minegishi, un fumetto non brutto quanto parzialmente incapace di sfruttare i propri punti di forza - e con una risoluzione dell'enigma che mi ha fatto storcere il naso. Chan-wook quindi ha deciso di mantenere solo il plot di partenza (un uomo rinchiuso per quindi anni che deve cercare di scoprire perché è stato incarcerato) cambiando tutto il resto. Il protagonista non è più un uomo controllato, anzi, è una persona rabbiosa, un uomo decisamente imperfetto ma comune che viene trasformato in un mostro, facendo evincere quindi il secondo tema comune di tutti i tre film. Oh Dae-su con la sua metamorfosi incarna il fatto che tutte le persone sono malvagie, anche quelle più comuni come lui, e se si premono i pulsanti giusti lo stravolgimento può avvenire in maniera addirittura impensabile. Ognuno dei personaggi infatti, dal rabbioso protagonista, al suo aguzzino, fino alla ragazza che lo accompagna nell'indagine, possiedono un punto scoperto, un pulsante (o una scatola, vedere il film per capire) che se viene schiacciato può dare via a un'esplosione incontrollabile. Siamo tutti dei mostri e alla fine la trasformazione principale avviene per un semplice motivo: trasformare il nostro nemico nella cosa che più si avvicina a noi, al mostro stesso che sentiamo di essere, per dargli il peggiore dei tormenti, ovvero quello di vivere con le nostre medesime colpe. E' per questo fine che la vendetta si compie, ma è una sfida che non preclude vincitori. Alla fine chi aveva veramente un valido motivo per vendicarsi? Che gioia resta al vincitore una volta che la sua vendetta si è compiuta? Ambo i partecipanti a quella sfida appaiono dalla parte del giusto ma, al contempo, assumono l'identità di cattivo principale. Tutti siamo mostri e tutti vogliamo vendicarci per questo nostro status. La vera protagonista così è lei, la vendetta, qui intesa non più come un riscatto verso un mondo ingiusto, ma come un puro atto di egoismo. «Ridi, e il mondo riderà con te. Piangi, e piangerai da solo.» Forse è per tal motivo che questo film riesce a trascinare in maniera così insana: perché la vendetta è un sentimento universale. Quanti nella loro vita hanno desiderato di potersi vendicare, ma si sono sempre fermati per questioni morali o per la paura di una qualche ripercussione legale? Ecco perché questo film, e i racconti che trattano di vendetta in generale, hanno così presa, perché permettono l'avverarsi di un qualcosa che nella vita reale ci siamo sempre preclusi ma verso la quale siamo sempre stati attratti, pur magari non approvandola - ad esempio, io non approvo il giustizialismo privato, pur ammettendo delle ideali agevolazioni della pena in certi casi. La vendetta in questo film è anche intesa come un'ideale ricerca della bellezza, come sottolinea lo stile registico particolare e ricercato. Non c'è un fotogramma che sia fuori posto o un passaggio che non evinca una capacità tecnica ai limiti del manierismo, senza però inficiare un ritmo ben sostenuto e che non appesantisce la visione, riuscendo addirittura a svelare l'arcano finale quasi unicamente col solo ausilio delle immagini, conferendo così a Park Chan-wook il meritato titolo di Maestro. La fotografia è esagerata, proprio per accompagnare una storia che fa leva proprio sull'esagerazione, donandogli un look che sembra estraniarla da ogni contesto possibile, inventandone senza volerlo uno nuovo, insieme a un attore che riesce a bucare lo schermo in ogni occasione - cosa che farà in maniera quasi migliore nell'altrettanto malato I saw the Devil. Ma è anche la violenza ad affascinare, non tanto per il semplice feticismo, ma per ciò che si porta dietro. Non è (solo) il vedere un polipo mangiato vivo o l'assistere a una tortura odontoiatrica perpetrata con un martello a disgustare, ma sono tutte le motivazioni che hanno condotto a un tal fine. La grandezza di questo film sta per l'appunto in tutte le domande che ogni sviluppo della trama riesce a dare e, immancabilmente, in tutte le risposte scomode che fornisce anche a una prima visione. Motivo per cui amo alla follia questo film, senza mezzi termini, e in maniera totalmente assoluta.

Ovviamente, dato che se la vita è puttana, l'industria cinematografica lo è di più, nel 2013 Spike Lee ha diretto il remake americano. Poi uno non dovrebbe bestemmiare...Voto: ★★★★
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