Erano le 4.30 del mattino del 5 settembre del 1972, quando – alle Olimpiadi di Monaco (Germania) – un commando di terroristi palestinesi fece irruzione negli alloggi degli atleti israeliani.
Un tentativo di liberazione compiuto dalla polizia tedesca portò alla morte di tutti gli atleti sequestrati, di cinque fedayyin e di un poliziotto tedesco
Ne uccisero subito un paio e sequestrarono, torturando fino all’evirazione alcuni, ed infine ammazzarono i rimanenti alcune ore dopo in quello che fu l’epilogo di una tragedia che molti preferiscono dimenticare.
Quello che ci si aspettava, in tutti questi quarant’anni, ossia un solo minuto per ricordare quelle vittime, ma anche atleti come altri che si erano recati a Monaco per celebrare gli ideali olimpici, non è arrivato neppure questa volta.
Alcune sporadiche manifestazioni di solidarietà, sono arrivate dal team italiano, un cronista della Bbc (subito “tagliato” con uno spot pubblicitario) ed un pilota Easyjet in volo su Monaco di Baviera che ha invitato i passeggeri ad un minuto di silenzio.
Mai, tuttavia, in tutto questo tempo, un solo minuto di ricordo e rispetto a livello istituzionale. Quarant’anni sembra un lasso adeguato per dar modo alle coscienze sopite del Comitato Olimpico di dare un segno, seppur minimo, che però si ostinano a non voler dare, confidando in un oblio aiutato dal passare del tempo.
Da ogni parte nel corso del 2012 erano state create sottoscrizioni, comitati, testimonianze perché venisse finalmente riconosciuto agli occhi del mondo quello scempio fatto a degli atleti, alcuni di loro sopravvissuti all’Olocausto, venuti a Monaco felici di poter tenere alto il prestigio sportivo della loro nazione.
60 secondi di silenzio per ricordare le vittime del massacro di Monaco ’72 facevano paura
In realtà quei semplici 60 secondi di silenzio facevano paura. Facevano paura perché potevano essere riempiti da fischi antisemiti ed è meglio negare che esista l’antisemitismo nella civile Europa e nello sport.
Facevano paura perché se fossero passate quelle immagini, lentamente ed in mondovisione, avrebbero fatto riflettere, oggi, sui mezzi usati dai leader palestinesi di allora per i loro personali interessi. Facevano paura perché, una volta sterminati, in un epilogo dell’attentato quasi da farsa per come venne gestito dalle autorità tedesche, qualcuno potrebbe chiedersi come mai quell’Olimpiade non si fermò. E perché in quaranta anni la richiesta delle vedove è sempre stata rigettata.
Facevano paura perché le nazioni più ricche del medio oriente potrebbero battere i piedi infastidite e togliere un po’ di petrodollari dalle tasche degli organizzatori. Facevano paura perché se agli ebrei fanno qualcosa di terribile, un motivo ci sarà pure, ma è troppo difficile trovarlo questo motivo da 6.000 anni, figuriamoci per degli sportivi innocenti, in 60 secondi.
Meglio lasciar stare, avranno pensato al CIO: meglio non dare un senso politico alla cerimonia, ma, molto più’ ipocritamente meglio non scomodare ideali, senso della giustizia e rischiare di alterare equilibri, sponsorizzazioni e altri interessi, verosimilmente economici. Così le Olimpiadi si mostrano per quel gran baraccone di pubblicità e vari interessi che poco hanno a che fare con etica e semplice umanità.Continuerò a guardare i cosiddetti “sport minori”, nell’illusione che, almeno quelli, si distolgano da certe logiche mercantili.