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Oltre il muro della disattenzione. Il “long-form journalism” in cerca di spazio [digitale]

Creato il 23 aprile 2011 da Leliosimi @leliosimi

Oltre il muro della disattenzione. Il “long-form journalism” in cerca di spazio [digitale]
C’è uno spazio infinito nel mondo digitale ma questo, per qualche motivo, non ha per niente favorito il fiorire di contenuti dal formato ampio ed esteso. Lo ha sottolineato il giornalista Evan Ratliff quando, qualche settimana fa, ha presentato al New York Times il suo progetto per promuovere il long-form storytelling nella rete, The Atavist. Il paradosso può sorprendere solo fino a un certo punto: sappiamo bene a quale sovraesposizione di informazioni siamo sottoposti nella civiltà digitale e come, di conseguenza, sia facile cadere in quella che viene definita strategia della disattenzione. La più tradizionale manualistica della comunicazione efficace nel web vuole testi brevi, concisi, facilmente digeribili, adatti alla rapidità dei nuovi media e con un numero limitato di parole (l’unità di misura utilizzata per misurare i testi nel mondo anglosassone al posto delle nostre battute). E i testi di di 5, 10, o 15mila parole? Quale futuro hanno le narrazioni dal formato esteso in un mondo dalla sempre più ridotta capacità di attenzione?

L’argomento non è affatto di secondaria importanza, anzi sembra attirare proprio in questi mesi una sempre maggiore attenzione, pezzi da novanta dell’informazione come Pro Publica, Rolling Stone, la Berkley School of Journalism e perfino un evento come il  SXSW2011, hanno organizzato incontri e pubblicato nei loro siti interventi, riflessioni e approfondimenti sul destino del long-form storytelling. Non sorprende che proprio in America se ne parli molto vista la lunga tradizione dei racconti nonfiction: “Long-form journalism is the only homegrown American literary form” sostiene addirittura Virginia Heffernan nel suo ultimo post sul blog The Medium. E Gerry Marzorati editor al New York Times in un bellissimo articolo  – una vera e propria dichiarazione d’amore nei confronti del long-form journalism – sottolinea come questa forma di giornalismo abbia avuto particolare fortuna in America (ovviamente con importanti eccezioni), in particolare negli ultimi 50 anni. È il giornalismo narrativo dei grandi maestri che prosperava nei magazine come Harper’s, New Yorker,  Esquire: gli affreschi dissacranti del new journalism di Gay Talese e Tom Wolfe o i sorprendenti reportage di guerra, dal Vietnam di Michael Herr all’Afghanistan di Dexter Filkins. Ma poi per questo genere giornalistico è stato il declino, o forse no. Sono in diversi oggi a sostenere una inversione di tendenza grazie proprio al web e ai nuovi supporti digitali: “The death of the death of long-form journalism” ha coraggiosamente scritto qualcuno, forse con eccessivo entusiasmo.

Sicuramente il futuro delle storie raccontate tramite narrazioni dal formato esteso e la loro capacità di adattarsi all’ambiente digitale diventa strategico sotto diversi punti di vista. Ad esempio è ovvio che il successo dei nuovi device si misurerà nel tempo anche sulla loro capacità di “coprire” le lunghe distanze e di attrarre un pubblico interessato non soltanto a leggere testi che si consumano in una manciata di minuti. Con il vantaggio, forse è superfluo ricordarlo, di avere costi inferiori e maggiore semplicità di distribuzione per rangiungere i lettori. Lettori paganti, sperano in molti. E qui sta il primo dei problemi, l’altro è che dietro al long-form journalism c’è un giornalista che ha dedicato parecchi mesi per seguire quella storia. E quali sono, anche tra le grandi testate, le redazioni disposte a impiegare uno (o più) redattori per così tanto tempo dietro a un’unica storia? Una questione di tempo, dunque, nel realizzarlo e quindi nei costi per sostenerlo, e di qualità del tempo da sottrarre alla logica del consumo rapido e compulsivo del web, per trovare lettori disposti a sostenerlo economicamente.

Negli ultimi tempi e in particolare dalla fine dello scorso anno ad oggi, sono state lanciate diverse iniziative proprio per tentare di trovare uno spazio (digitale) per questo tipo di lettura. Dallo scorso ottobre con il lancio di Kindle Singles da parte di Amazon e poco prima di Longreads e Longform.org, il già citato The Atavist fino al più recente (proprio di questi giorni) Byliner.

Kindle Singles lanciato da Amazon è una catalogo di titoli di nonfiction dalla lunghezza compresa tra 5mila e le 30mila parole e dal costo contenuto (da 0.99 a 4 dollari circa). Il progetto ha suscitato subito molto interesse, per il formato del tutto nuovo rispetto agli altri e-book, “il doppio della lunghezza di un tipico articolo del New Yorker o quanto alcuni capitoli di un normale libro”, recita il comunicato stampa dell’azienda di Seattle, per la quale Singles evidentemente potrebbe rappresentare la giusta misura, il primo passo, per abituare un nuovo pubblico a leggere abitualmente tramite supporti digitali. Sui risultati Amazon, a sei mesi dal lancio, è abbastanza abbottonata .

Oltre il muro della disattenzione. Il “long-form journalism” in cerca di spazio [digitale]

La copertina del terzo lavoro pubblicato da The Atavist

The Atavist nasce, come detto, da un’idea di Evan Ratliff giornalista freelance per Wired e Nicholas Thompson senior editor al New Yorker (ma in passato anche lui a Wired), sviluppato dal disegner Jefferson Rabb, è un’applicazione che permette di leggere storie originali di nonfiction e narrative journalism. I testi sono pensati anche nel segno dell’interattività e della multimedialità: immagini, file mp3, commenti dei lettori. Lanciato a fine gennaio 2011 ha, per adesso, pubblicato tre storie. Risultati? Oltre 40mila download, dichiarano Ratliff e soci. La piattaforma non è pensata per il Pc ma unicamente per i nuovi device: iPad, iPhone, e in versione meno “accessioriata” anche per Kindle e Nook. Il costo per ogni storia è di 2,99 dollari per l’iPad e 1,99 per gli altri device. Agli autori viene pagato un somma iniziale, come indennizzo spese, poi un a percentuale sulle vendite. Ecco il video di presentazione del progetto:

Oltre il muro della disattenzione. Il “long-form journalism” in cerca di spazio [digitale]

la Home di Longreads con la funzionalità di scelta a secondo del tempo di lettura

Longreads è un idea di Mark Armstrong, nato nell’ottobre del 2009 come semplice profilo twitter dal quale segnalare e raccogliere tramite l’hashtag #longread i testi estesi più interessanti. Dall’ottobre del 2010 è anche un vero e proprio sito web dedicato alla ricerca dei testi extra large (dalle 3mila fino alle 15mila, e oltre, parole), con la possibilità di filtrare la ricerca a secondo della lunghezza del’articolo e quindi al tempo a disposizione per leggerlo.Il database è molto ampio e dà la possibilità di trovare davvero molti testi. Longform.org è nato nel 2009 è sostanzialmente un sito “gemello” del precedente longreads con meccanismo identico: segnalazione e ricerca ti testi estesi magari da memorizzare sul proprio tablet, smartphone o notebook con applicazioni come Read It Later o Istapaper e leggere poi con calma quando si ha tempo.

Byliner è stato presentato pochi giorni fa, il 19 aprile, ha raccolto finanziamenti per quasi un milione di dollari. In attesa del lancio definitivo della piattaforma ha pubblicato (con download gratuito per le prime 72 ore e adesso in vendita a 2,99 dollari, sembra con ottimi risultati) la prima opera originale: “Three Cups Of Deceit” realizzato da Jon Krakauer firma di punta del giornalismo investigativo. L’intenzione è di pubblicare nuove storie su temi di attualità ogni 10-14 giorni e sono già annunciati nuovi titoli dalle firme eccellenti: David Rakoff, Antony Swofford, Bob Shacochis, William T. Wollmann. Ma non solo, la piattaforma vuole essere anche un modo per condividere e discutere articoli, segnalare autori,  e un motore di ricerca per storie nonfiction. Tra gli addetti ai lavori Byliner si è guadagnato subito un sostenitore autorevole, dal super blog TechCrunch si spendono, infatti, parole d’entusiasmo: “the first things that’s truly excited me about the future of high-quality, long-form journalism in more than a decade”. Decisamente un buon inizio.

fonti e approfondimenti:

La ri-scoperta delle storie lunghe (Il Sole 24 Ore)

Evan Ratliff on The Atavist: narrative throwback or the future of nonfiction storytelling? (lunga intervista al fondatore di The Atavist – Nieman Storyboard)

Il nostro giornalismo ha il raffreddore (Camillo)

Byliner Launches With A Splash, Aims To Disrupt Long-Form Journalism (TechCrunch)

Designing the Atavist, an App That Rescues Long-form Journalism

How Technology Is Renewing Attention to Long-form Journalism (Poynter)

 The Perfect Content Companion For iPad + Instapaper, Longreads Gets A Website (ThechCrunch)

 Oliver Broudy on modern saints, magazine writing and crossing the border to Kindle Single (Nieman Storyboard)

Amazon Launches Kindle Singles, Saves Long-Form Journalism (Wired)

Longreads: A Digital Renaissance for the Long-form? (NYTimes)


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