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Oltre l’UE: bilateralismo e Mediterraneo nei rapporti italo-turchi, al IX Forum SAM-Unicredit

Creato il 15 novembre 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Oltre l’UE: bilateralismo e Mediterraneo nei rapporti italo-turchi, al IX Forum SAM-Unicredit

Il 12-13 novembre si è tenuto a Roma, presso il St. Regis Hotel, la nona edizione del Forum Italo-Turco. Quest’appuntamento annuale, che si tiene alternamente a Istanbul e Roma, è patrocinato da Unicredit e dal SAM, Centro di Ricerca Strategica del Ministero degli Affari Esteri turco, e vede tradizionalmente un incontro tra i due ministeri degli esteri. Anche quest’anno l’IsAG è stato invitato a prendere parte al Forum, con ben tre esponenti (il presidente Tiberio Graziani, il segretario scientifico Daniele Scalea e il direttore delle relazioni istituzionali Enrico Verga) su una delegazione italiana di poche decine d’esperti e funzionari.

Il pomeriggio del 12 si è tenuta la sessione a porte aperte, dedicata al tema dell’impatto della crisi dell’Eurozona su Turchia, Italia e Mediterraneo. Dopo i saluti di Giuseppe Scognamiglio, capo degli affari pubblici d’Unicredit, e di Mesut Özcan, vice-presidente del Centro di Studi Strategici turco, a discutere sul tema indicato sono stati Giuliano Amato, presidente del International Advisory Board di Unicredit, Lokman Gündüz, membro del Consiglio dei Direttori della Banca Centrale di Turchia, Vittorio Da Rold, corrispondente de “Il Sole 24 Ore” e Ömer Bolat, ex presidente dell’associazione d’industriali e imprenditori MUSIAD, moderati da Paolo Magri, vice-presidente esecutivo e direttore dell’ISPI.

Tra i principali concetti espressi nella lunga tavola rotonda, in cui ovviamente molte parole sono state spese sulle basi e le prospettive del successo economico turco, è quello secondo cui, se Ankara fosse stata nell’UE, avrebbe rafforzato la posizione dell’Italia e degli altri paesi dell’Europa Meridionale nei confronti dell’asse Merkel-Sarkozy. Ciò avrebbe sicuramente danneggiato, secondo Bolat, le più recenti performances economiche della Turchia, che invece si è potuta espandere liberamente nei mercati dell’Africa e dei paesi islamici, ma avrebbe però alleggerito l’impatto della crisi sull’Unione Europea.

Anche la gestione delle rivolte arabe sarebbe stata diversa, per l’UE, se avesse avuto la Turchia tra i propri membri. Secondo il presidente Amato l’Unione Europea senza Turchia è percepita come “altra” dal mondo arabo, e ciò rende più difficile influenzarlo. L’ex Presidente del Consiglio Italiano, ritenendo l’Unione Mediterranea di Sarkozy un progetto vuoto e il Processo di Barcellona (incentrato sugli accordi di libero scambio) inadatto ai rapporti tra interlocutori assai distanti per il reciproco livello di sviluppo, ha altresì proposto l’idea di una “CECA mediterranea”, imperniata sull’agricoltura e la manifattura. Compito di quest’organismo sarebbe creare una supply chain mediterranea competitiva con quella tedesca. La Germania sta infatti spostando la propria verso l’Europa Orientale, escludendovi sempre più l’Italia, che dunque ha la necessità di trovare rapidamente un’alternativa.

I relatori sono stati dunque coinvolti in un interessante dibattito con la platea, altamente qualificata. Carlo Marsili, già ambasciatore italiano a Ankara, ha proposto di superare l’impasse della questione cipriota ammettendo nell’UE anche Cipro Nord. Stefania Giannini, rettore dell’Università per Stranieri di Perugia, ha voluto ricordare a imprese e finanza il valore di beni intangibili come l’educazione. Il finora mai concretizzatosi progetto di un’università mediterranea avrebbe un enorme impatto nel formare un’intera generazione ed unire così i paesi affacciati su di esso. La proposta è stata apprezzata da Amato e Bolat: l’italiano ha auspicato che lo Stato, con la sua lentezza burocratica, rimanga fuori dall’ambito educativo, in cui dovrebbero invece impegnarsi a fondo i privati; il turco ha ricordato che nel suo paese esistono già le università turco-francese e turco-tedesca, ed ha auspicato la nascita di una trilingue – italiano, arabo e turco, distribuita nel bacino del Mediterraneo.

A lanciare il discorso sul ruolo della Turchia in Nordafrica e Vicino Oriente è stato invece un’intervento del generale Carlo Jean, che è anche membro del Comitato Scientifico di Geopolitica. Jean ha affermato che la Turchia non avrebbe più interesse a entrare nell’UE, in quanto ciò la depotenzierebbe rispetto al mondo islamico, dove invece vuol conquistare l’egemonia. Vittorio Da Rold ha in effetti confermato che la Turchia sta creandosi un’alternativa all’UE: Erdoğan ha recentemente proposto un’unione monetaria con alcuni dei paesi vicini, interni alla sfera d’influenza turca, come presumibilmente l’Azerbaigian o l’Iraq Settentrionale. Inoltre, si pensa anche di cambiare il fuso orario della Turchia dell’est per uniformarlo a quello del resto del Vicino Oriente, e così favorire ulteriormente l’integrazione turca nella regione. Bolat ha ricordato l’impegno finanziario turco, che ammonta in totale a 5 miliardi, in aiuti verso i paesi della “Primavera araba”: in particolare Libia e Tunisia hanno ricevuto mezzo miliardo a testa, l’Egitto ben 2 miliardi. Ha comunque auspicato un impegno congiunto di Turchia, UE, paesi del Golfo e FMI per fornire una road map ai paesi arabi. Lokman Gündüz ha a tale proposito invitato a cambiare mentalità, non considerando i paesi confinanti solo come occasioni d’affari, ma come veri e propri vicini di casa dotati di proprie caratteristiche da prendere in considerazione.
Secondo Amato e la senatrice Emma Bonino, quest’ultima intervenuta dalla platea, la Turchia non avrebbe invece interesse a fare da leader del mondo musulmano, bensì a mantenere la sua specificità democratica e “modernista” nella regione. L’on. Bonino ritiene che l’UE sia un interlocutore più sicuro di tutti gli altri vicini per la Turchia – come dimostrano le recenti tensioni con Siria e Iran – pur essendosi mostrata inaffidabile rispetto alla promessa d’inclusione fatta a Ankara: il mancato rispetto del patto dipenderebbe però più dai singoli leader politici, i quali passano, che non da un deficit permanente dell’organizzazione.

Dopo la lunga tavola rotonda è stato il momento del panel dei ministri, dedicato al tema dell’integrazione europea della Turchia. L’introduzione è stata affidata a Federico Ghizzoni, CEO di Unicredit. Secondo Ghizzoni, sebbene la crescita economica anche in Turchia si sia fatta comprensibilmente più difficile, rimane un paese nel quale valga la pena investire. Nel 2001 il suo sistema bancario era in crisi, mentre oggi è tra i più solidi: politiche stabili e lungimiranti hanno permesso il successo economico del paese anatolico. Unicredit è la quinta banca in Turchia (per capitalizzazione sarebbe terza in Italia), la maggiore straniera in Azerbaigian, e sta per aprire suoi uffici anche in Iraq Settentrionale. YapiKredit, filiale turca di Unicredit, non ha finora distribuito dividendi ma reinvestito tutto nel paese. Ghizzoni ha espresso ottimismo pure per il ritorno alla crescita dell’Europa. Il sistema bancario europeo, malgrado tutto, è riuscito ad adeguarsi alle disposizioni di Basilea 3, mentre le banche statunitensi sono ancora a Basilea 1.

Moderati dall’on. Bonino sono quindi intervenuti i due ministri degli Affari esteri, l’italiano Giulio Terzi di Sant’Agata e il turco Ahmet Davutoğlu. Il primo tema affrontato è quello del “risveglio arabo”. Davutoğlu l’ha presentato come un processo del tutto giusto e naturale. In gioco non vi sarebbero questioni etniche e politiche, bensì le rivendicazioni del popolo opposto all’autocrazia. Questo sviluppo avrebbe potuto avvenire già negli anni ’90, se l’Occidente non l’avesse rallentato per ragioni strategiche. In ogni caso, ha assicurato il Ministro degli Esteri turco, non bisogna temere perché, pur dopo il necessario periodo di transizione, il punto d’arrivo sarà la democrazia. Anche Terzi di Sant’Agata ha espresso sostegno per i processi politici in corso nei paesi arabi, la cui spinta a suo dire provverrebbe dalla consapevolezza dei giovani raggiunta grazie alle nuove tecnologie. Le società arabe sono ora più simili a quelle europee, animate dal desiderio di sviluppo economico e di sicurezza regionale, desiderose di aprirsi all’Europa.

L’on. Bonino ha quindi chiesto se i due ministri pensino a progetti mediterranei italo-turchi, o se sia necessario attendere che si muova l’UE. Davutoğlu ha esaltato il potenziale della collaborazione tra Italia e Turchia, che possiedono tradizioni nazionali fonti di civiltà. La storia della civiltà ruota attorno al Mediterraneo, e andrebbe ricostituita questa presenza, ricostruito un nuovo umanesimo a partire dal Mare Nostrum. La crisi attuale può essere il travaglio di qualcosa di buono. Terzi di Sant’Agata, scendendo più nel concreto, ha espresso il desiderio di sostenere i progetti d’integrazione in Africa e Maghreb, e ricordato che il “Grande Mediterraneo” costituisce un arco d’opportunità da 80 miliardi di euro d’interscambio per l’Italia. Nel prossimo settennato, grazie allo sforzo dei paesi mediterranei – tra cui ovviamente l’Italia – una grossa fetta di fondi UE sarà dirottata dall’Europa Orientale ai paesi arabi.

Il discorso è quindi inevitabilmente scivolato verso la Siria. Davutoğlu ha ricondotto la crisi alla casistica dei “crimini contro l’umanità”, a suo dire compiuti dal regime siriano (con 30.000 morti, 30.000 dispersi a un totale d’un milione di rifugiati, secondo il ministro turco). La Turchia appoggia «le persone che da 20 mesi resistono con onore», per usare le parole del suo Ministero degli Esteri, ed è per questo che ha aiutato a riunire i rappresentanti del Consiglio Nazionale Siriano e dei comitati locali d’opposizione a Doha, dove è stata creata una commissione nazionale presieduta da un cristiano siriano perseguitato dal governo di Damasco. Davutoğlu ha infine rammentato che la Turchia ospita 120.000 rifugiati siriani ed ha ad oggi speso per essi oltre 400 milioni di dollari, e auspicato che altri paesi ne condividano il peso. Terzi di Sant’Agata ha rivendicato la partecipazione di Gran Bretagna, Italia, Germania e Francia alla conferenza di Doha.

Si è infine toccato l’argomento del negoziato UE-Turchia. Secondo il Ministro degli Esteri italiano sarebbe opportuno concentrarsi su quei capitoli d’integrazione che possono procedere più velocemente (dalla mobilità alla cultura) e liberalizzare immediatamente i visti a vantaggio soprattutto d’imprenditori e studenti turchi. Terzi di Sant’Agata giudica incomprensibile l’opposizione d’alcune capitali europee all’eliminazione dei visti: la Turchia è ormai un paese di reimmigrazione, e molti dei suoi cittadini sono potenziali turisti. Davutoğlu ha però dichiarato che non è sufficiente aprire singoli capitoli, ma che è necessario capire la strategia, dove si vuole arrivare. Dove vuole stare l’Europa nel mondo? Il suo potere economico si riduce, e non riesce nemmeno più a gestire le crisi interne. A giudizio del Ministro degli Esteri turco servono dinamismo economico, inclusività culturale e rilevanza geopolitica affinché l’Europa torni ad essere una potenza, e senz’altro con la Turchia al suo interno per l’UE sarebbe più facile soddisfare le tre condizioni. La Turchia è, insomma, la risposta e la cura ai problemi europei. Davutoğlu ha inoltre negato che la Turchia si stia distogliendo dall’Europa per volgersi verso l’Oriente: essa è parte integrante d’entrambi, e dunque non può che guardare contemporaneamente a tutte e due le regioni. La Turchia, ha ribadito, vuole la piena adesione, ma non per chiedere aiuti all’UE. Ankara è oggi forte, ed è anzi pronta a dare aiuti economici ai paesi europei in difficoltà così come ha fatto con quelli arabi. Però, ha messo in guardia il ministro Davutoğlu, si deve tenere a mente che la Turchia ha delle alternative, e che ormai la popolazione non crede più all’equità dell’UE, che ha tradito la parola data a suo tempo.

La mattina del 13 novembre si è invece tenuta la sessione a porte chiuse. Circa 50 esperti, metà turchi e metà italiani (tra cui i tre succitati esponenti dell’IsAG), hanno discusso di progetti economici e politici italo-turchi nel Mediterraneo. A presiedere l’amb. Vincenzo Petrone, presidente di Simest, e il professor Sadik Ünay, dell’Università Sakarya. Base della discussione è stato lo studio realizzato dallo IAI e intitolato Italy and Turkey as Mediterranean Powers: Seeking Joint Partnerships in the Neighbourhood. A presentarlo Stefano Silvestri, Ettore Greco e Nathalie Tocci, rispettivamente presidente, direttore e vice-direttrice dello IAI. Silvestri ha voluto rimarcare che il principio ispiratore del paper non è il bilateralismo ma il multilateralismo: ciò che si propone è una politica europea per il Mediterraneo. La Tocci individua nel fattore socio-economico l’origine – e la possibile causa di fallimento – della Primavera Araba. L’Italia, com’è noto, ha un problema di crescita, ed anche la Turchia deve vedersela con la scarsa produttività in alcuni settori, che le impedisce di fare il salto di qualità. Da queste comuni esigenze possono sortire delle joint ventures trilaterali. Partecipanti turchi e italiani si sono quindi scambiati reciprocamente osservazioni e domande, in un dibattito durato molte ore.

I partecipanti turchi hanno posto sul tavolo alcune questioni problematiche, come quella di Cipro, proposta dal professor Muzaffer Şenel. Per il presidente Silvestri collegare la questione cipriota all’ingresso turco nell’UE non fa che complicare la faccenda, ma il capo-dipartimento del SAM Nuray Inöntepe ha ricordato che proprio Cipro tiene bloccati sei capitoli necessari all’integrazione, e si è chiesto cosa facciano gli altri 26 membri dell’UE. Ufuk Ulutaş, ricercatore della fondazione SETA, ha invece sollevato il problema delle divergenze di visione tra Italia e Turchia su Iraq, Iran e Israele. Il Presidente dello IAI ha risposto che su Iraq e Iran si tratta tutt’al più di differenze marginali, mentre per quanto riguarda Israele, il fatto che la Turchia abbia ancora rapporti e riconosca il diritto all’esistenza dello Stato ebraico porta Ankara su posizioni prossime a quelle italiane – basate appunto sul riconoscimento dei diritti e di Israele e della Palestina; le differenze sarebbero tutt’al più tattiche e di tono. Il ministro plenipotenziario Giuseppe Scognamiglio ha chiesto se i turchi siano consapevoli delle criticità economiche esistenti nel paese anatolico: a rispondergli è stato un altro italiano, ma residente in Turchia, il giornalista Giuseppe Mancini. Quest’ultimo ha informato che il Governo turco, conscio di tali fragilità strutturali, ha preparato un piano infrastrutturale, uno nucleare, una riforma sanitaria e dell’educazione, e previsto importanti investimenti nella tecnologia e nella cultura.

La questione della fiducia è stata invece posta dal professor Ozgehan Şenyuva: le ricerche statistiche dimostrano che la popolazione italiana è in maggioranza non favorevole alla Turchia. A suo parere prima di fare qualcosa assieme è necessaria fiducia reciproca, e dunque bisogna lavorare per cambiare le percezioni popolari. Marco D’Eramo, giornalista de “Il Manifesto”, ha ricondotto questa mancanza di fiducia nella propaganda islamofoba seguita all’11 settembre 2001. Il lavoro va concentrato secondo lui sugli apparati ideologici: poiché a diffondere gli stereotipi sono soprattutto film e serie televisivi, è nel cinema, nella televisione, nella musica che vanno lanciate delle joint ventures. Secondo Nathalie Tocci, il modo migliore per aumentare la fiducia sono invece proprio le azioni concrete, come quelle proposte dal rapporto dello IAI, di cui è una delle autrici.

Inevitabilmente si è parlato anche dell’annoso negoziato per l’ingresso della Turchia nell’UE, questione che, si teme, può danneggiare anche i rapporti bilaterali con l’Italia. Ömer Bolat, ex presidente di MUSIAD e membro dell’AKP, ha invitato a procedere comunque assieme, in attesa dell’integrazione europea, unendo l’eccellente industria italiana all’abbondante manodopera qualificata turca. Il professor Fatih Özbay ha proposto la collaborazione della Turchia coi paesi ex URSS sul Mar Nero e il Mar Caspio come modello di cooperazione mediterranea italo-turca. Daniele Scalea, segretario scientifico dell’IsAG, ha richiamato le parole del ministro Davutoğlu, che il giorno prima aveva posto la priorità sul pensamento strategico complessivo anziché sui singoli capitoli. Secondo Scalea questo metodo andrebbe applicato anche ai rapporti tra Italia e Turchia: concepire in maniera esplicita una strategia comune permetterebbe poi di risolvere più agevolmente i singoli capitoli specifici. Il turcologo Federico De Renzi ha espresso la convinzione che ormai l’ingresso nell’UE non interessi più veramente alla Turchia. Il presidente Silvestri ha comunque rigettato con fermezza la possibilità di proporre progetti d’integrazione alternativi all’UE, suggeriti da alcuni dei delegati turchi in riferimento al Mediterraneo. Piuttosto, le integrazioni bilaterali o piccole integrazioni multilaterali possono essere inserite nel processo d’integrazione complessivo dell’Europa. Lo dimostra lo spostamento dei finanziamenti UE verso il Mediterraneo, che non è un successo dell’Italia ma d’un gruppo di paesi. Silvestri ha dunque citato come promettente l’Iniziativa 5+5 che, grazie all’inclusione di Turchia e Egitto, potrebbe trasformarsi in 6+6. Un progetto come questo, in cui la sponda settentrionale e quella meridionale del Mediterraneo si trovano in condizione di parità, può superare quegli scogli presenti invece nei negoziati con l’UE, in cui un singolo paese si ritrova a dover trattare con 27. Anche Nathalie Tocci ha specificato che l’azione trilaterale proposta dallo IAI non è un’alternativa a quella multilaterale dell’UE, e il suo collega Greco ha limitato a ricerca ed educazione i possibili campi d’applicazione dell’approccio bilaterale.

Un lungo intervento, lodato da Lokman Gündüz, è stato quello del presidente dell’IsAG Tiberio Graziani. Il direttore di Geopolitica ha proposto la nozione di centralità come fondamento della collaborazione regionale italo-turca. L’Italia è infatti il centro del Mediterraneo, mentre la Turchia è al centro di quel “Mediterraneo allargato” che include anche il Vicino e Medio Oriente. Massima priorità andrebbe data, secondo Graziani, alla costruzione di piattaforme dedicate alle infrastrutture, in particolare quelle basate sulla ricerca, l’innovazione e il trasferimento tecnologico, collegando le imprese alla ricerca, promuovendo le innovazioni nelle PMI – ma non prese singolarmente, bensì in clusters d’imprese – nel Mediterraneo allargato. Si potrebbero dunque istituire bandi per le imprese italiane e turche che vogliono allargarsi nella regione. Graziani ha inoltre proposto una rete di pensatoi del Mediterraneo allargato, che ripensino la funzione della regione nel nascente sistema multipolare.


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