di Paolo Brunori
“Oltre la rottamazione, di Matteo Renzi”
“Se tornerà il momento in cui provarci, voglio che nessuno abbia dubbi sul nostro grado di maturazione, di preparazione, di capacità di approfondimento. Ma dovremo anche mantenere tutta la capacità di generare entusiasmo, passione, speranza. E per farlo è giusto che anch’io faccia sentire la mia voce.“
È riassunto in questa frase il motivo e lo scopo del nuovo libro di Matteo Renzi (Mondadori, 112 pagine, 15 euro, ma l’ho trovato a 12,75 all’ipercoop). Il terzo libro che leggo del politico rignanese, il settimo che pubblica dal 1999.
La prima parte del volume ripercorre i mesi dalle primarie a oggi. Con una serie di immagini emozionanti, rievoca le settimane delle primarie, l’entusiasmo e lo scontro con gli avversari, i successi e la sconfitta. Lo stile di scrittura è accattivante, semplice: a cominciare dal carattere stile 14 e con margini eccezionalmente grandi, le pagine scorrono veloci, gratificando anche un lettore distratto. Nella ricostruzione degli eventi, Renzi chiarisce che la sconfitta alle primarie non è altro che un’ennesima dimostrazione degli errori della vecchia classe dirigente del partito. Non si tratta di una sua bocciatura, ma dell’ennesima chiusura del PD al suo futuro. Rivendica la scelta di non aver reclamato poltrone, che nella logica del PD spettano di diritto “a quelli che perdono bene” come lui, e ribadisce il suo diritto a riprovarci, “perché, parliamoci chiaramente: prima o poi il futuro ritornerà”. L’aver rifiutato posizioni di responsabilità nel partito e la sconfitta alle elezioni del centro-sinistra a guida Bersani sono i due ingredienti fondamentali che autorizzano Renzi a essere convinto, di nuovo, che sia venuto il suo turno.
Ma per candidarsi a vincere le prossime primarie, Renzi sa che deve aggiustare il tiro, lo dice esplicitamente: la rottamazione è stata una parola d’ordine azzeccata per far breccia in una parte dell’elettorato di sinistra, ma ha spaventato altri. Il mantra che ricorre è quindi “andare oltre la rottamazione”. Per farlo, Renzi decide di proporre alcune linee programmatiche, spaziando dall’economia alla politica estera. Ma aggiustare il tiro vuol dire sopratutto smussare gli spigoli, eliminare le proposte più scomode per l’elettorato del PD. Rispetto ai suoi libri precedenti, le linee programmatiche risultano molto più vaghe. Spariscono le ricette precise – penso ad esempio alla proposta del quoziente familiare al centro della riforma del fisco avanzata in “Fuori!” -; qui invece i punti del programma sono presentati con brevi paragrafi, sempre incentrati sulla ricerca di un’empatia con il lettore. Nessuna soluzione precisa, ma una serie d’immagini che suggeriscono emozioni e direzioni di cambiamento.
Ogni argomento è trattato in modo non sistematico, abbondano esempi e citazioni – da Henry Ford a Michael Jordan -, con immancabili riferimenti ai successi delle amministrazioni Renzi. Ma l’ingrediente più azzeccato della ricetta è sicuramente la presenza continua di elementi positivi, capaci di ispirare speranza nel lettore. “Nel mondo del credito abbiamo bisogno di una leadership che sia capace di tornare a coltivare il gusto della sfida. Che viva la dimensione della speranza, oltre che quella della paura”. Renzi pensa positivo, in ogni ambito, la costante della narrazione è l’idea che valga la pena sperare, e che adoperarsi per cambiare non sia tempo perso. La positività rappresenta sicuramente un grande pregio del Renzi-pensiero, alla quale però talvolta viene sacrificata una trattazione onestamente approfondita dei temi sul tavolo.
Per rispondere ai problemi di bilancio dell’Italia, Renzi propone uno scatto di orgoglio: “Noi stiamo recuperando il debito pubblico non per un atto di cortesia verso i tedeschi contemporanei. Ma per un gesto di responsabilità verso gli italiani che verranno.” Efficace nel declinare in positivo un dramma che ha pervaso la nostra vita negli ultimi anni, perde però il centro della questione. La discussione sull’austerità riguarda proprio il come si possa garantire un futuro di prosperità per le generazioni future. Alcuni sostengono che lo strumento migliore sia un intervento di spesa anticiclico in un periodo di crisi, altri che la priorità sia risanare il bilancio dello stato. Renzi o questo dibattito lo ignora oppure ha deciso a priori che i secondi hanno ragione.
Ma l’obiettivo di Renzi non è tanto affrontare la problematicità delle questioni sul tappeto, quanto suscitare speranza e conquistare fiducia. La speranza è contrapposta al pensiero della classe dirigente del PD, che rappresenta un sinistra in grado solo “di raccontare una minaccia”, mentre nel pensiero di Renzi “la sinistra vera in tutto il mondo è capace di offrire una speranza”. La contrapposizione è suggestiva, perché coglie un qualcosa dell’incapacità dei leader di sinistra di andare oltre un’eterna e infruttuosa elaborazione del tramonto del socialismo reale. Ma alla suggestione, anche in questo caso, non segue alcuna elaborazione; il ragionamento si ferma all’intuizione.
Matteo Renzi (da Wikipedia)
Nello scrivere questo libro, Renzi si toglie anche qualche sassolino dalla scarpa: le accuse per gli incontri con il finanziere Davide Serra, i sospetti di simpatie berlusconiane da parte di chi poi con Berlusconi è andato al governo, le accuse di leaderismo. Non indietreggia, contrattacca, e fra le righe propone un’idea di rapporto partito-leader ispirata al mondo del ciclismo: i gregari lavorano per il capitano. Il corridore in grado a un certo punto di staccare tutti e vincere. La selezione del leader diventa quindi il riconoscimento del più forte, quello che può far vincere la squadra. È un messaggio molto più radicale di quanto non possa sembrare a primo acchito, ma del resto Oltre la rottamazione è pieno di messaggi radicali, più o meno velati. Spesso piuttosto sorprendenti, perché presentati come ovvietà anche quando presupporrebbero qualche giustificazione. Alludendo alla legge elettorale, Renzi propone una riforma presidenzialista, sostenendo che “in tutte le comunità umane quando ci sono le elezioni, c’è uno che vince e comanda”. Con riferimento alla tassazione delle imprese, si mostra molto conservatore, sposa il modello esistente. Si augura addirittura un regime fiscale che porti ancora più all’estremo il meccanismo (perverso) degli studi di settore, per cui le imposte sono determinate dalla presunzione invece che dalla verifica dei profitti. La rivoluzione fiscale consiste quindi nel realizzare un sistema nel quale “una volta stabilito il quantum [...] l’azienda paga. E se paga stop. Finisce li. Basta con un sistema fatto di controlli, ispezioni, processo tributario.”
Renzi ha capito che primarie ed elezioni politiche sono due partite diverse, che non si possono vincere con un’unica strategia. Non mancano quindi riferimenti ai temi classici della sinistra. Il lavoro è affrontato con posizioni molto più caute di quelle del passato, quando il suo motto era “con Marchionne senza se e senza ma” e sposava in toto la scuola di pensiero di Zingales (almeno fino a quando l’economista si è schierato esplicitamente contro Obama) e Ichino (oramai passato esplicitamente nello schieramento di centro-destra). L’ambiente è affrontato soprattutto riguardo alla messa in sicurezza del paese. La scuola è presentata come l’elemento fondamentale per la costruzione di un paese migliore. L’Europa, un’occasione di sviluppo.
Il finale del libro, una descrizione per immagini di quello che potrebbe essere il paese nel quale crescerà Gregorio, un bambino che nasce oggi, è probabilmente la parte meno riuscita. Una serie di spunti si susseguono in modo piuttosto caotico: citazioni, auspici, aneddoti. Che in alcuni casi si spingono oltre il limite dell’esibizionismo, come il racconto del colloquio con don Renzo Rossi nella fase terminale della sua malattia.
Se l’intento dell’ultima fatica del sindaco di Firenze era quello di conquistare stima e fiducia dei simpatizzanti PD, è probabile che il gioco non sia valso la candela. Ma leggendo il volume sembrerebbe piuttosto che l’autore abbia voluto mostrarsi meno minaccioso con alcune categorie di potenziali elettori, recuperare un po’ di spazio a sinistra, costruire un altro pezzetto di credibilità per la sua candidatura a leader del PD.
Ciò che rimane più impresso alla fine della lettura non ha che fare con strategie o programmi, riguarda le motivazioni profonde che hanno spinto quest’uomo, in ogni fase della sua vita, a essere il capo di qualcosa: rappresentante studentesco, arbitro di calcio, capo scout, segretario provinciale di partito, presidente della provincia, sindaco. L’origine di questa spinta esistenziale insaziabile ci viene quasi confessata da Renzi in modo così esplicito da risultare sorprendente: “Rivendicare il futuro per sé, senza lasciarlo agli avversari. Impresa difficile, coraggiosa, ardua. Ma l’unico modo di dare un senso all’impegno politico.”
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