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Oltre le colline (Dupa Dealuri)

Creato il 25 ottobre 2012 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Oltre le colline (Dupa Dealuri)

 

Anno: 2012

Durata: 150′

Distribuzione: Bim Distribuzione

Genere: Drammatico

Nazionalità: Romania

Regia: Cristian Mungiu

Uscita: 31/10/2012

Vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes nel 2007 per il suo secondo lungometraggio 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni, il regista e sceneggiatore romeno Cristian Mungiu sembra non voler demordere e ancora una volta decide di affrontare un tema tanto spinoso quanto drammatico: così, se nel primo aveva dato voce al dramma di due ragazze universitarie che negli ultimi anni del regime Ceausescu si erano trovate a dover affrontare la tragedia di un aborto illegale, in quest’ultima prova il regista riporta all’attenzione internazionale una triste pagina di storia che forse alcuni ricorderanno ancora con orrore, la morte di una giovane donna in visita ad una novizia all’interno di un monastero e uccisa, in poche ma lunghissime settimane, da alcune inspiegabili pratiche esorcistiche.

La morte della ragazza, avvenuta nel 2005 all’interno del piccolo Monastero di Tanacu, in Moldavia, sconvolse l’opinione pubblica locale, internazionale e l’intera Chiesa Ortodossa.

L’incontro, fortuito solo per chi (almeno in alcuni casi!) non crede al fato, tra Mungiu e la giornalista Tatiana Niculescu Bran, autrice di quelli che sono stati definiti due romanzi non-fiction completamente incentrati sulla vicenda, ha condotto a questo felice, seppur lento e  difficile, prodotto cinematografico.

150, lunghissimi, minuti scandiscono così la triste cronaca, la storia di due piccole orfane cresciute insieme e poi separate dalla vita: Alina, emigrata in Germania a cercar lavoro e fortuna, e Voichita, che punta dall’amore di Dio e per Dio decide di vivere in un piccolo monastero.

Ecco la breve sinossi del film: “Alina torna dalla Germania per riportare da lei Voichita – l’unica persona che ama e da cui è stata amata in questo mondo. Ma Voichita ha trovato Dio – e Dio è l’amante di cui è più difficile essere gelosi.”

Nella scena di apertura il regista ci cala in una stazione ferroviaria, ci accompagna tra la folla, ci fa seguire meccanicamente, attraverso lo sguardo della telecamera, una treccia di capelli neri e lunghi che svolazza, cadenzata dai passi veloci e decisi di una donna vestita di nero. D’un tratto vediamo un volto: quello di una ragazza con indosso un semplice maglione grigio, con i capelli castani e legati alla meglio, quello di una ragazza che felice e sconvolta attraversa d’un colpo i binari e ci viene incontro piangendo, e piangendo e singhiozzando si ferma proprio a pochi passi da noi, per abbracciare l’amica dalla lunga treccia nera.

Così, Alina rivede l’amica, così Alina crede di poter finalmente riprendersi l’Amore: quello unico di Voichita, amica, sorella, madre, padre, confidente.

Ma Voichita, intanto, ha trovato un amore più grande, assoluto e onnipresente.

“Le persone vanno e vengono, soltanto Dio è sempre con te”, dice all’amica che, derubata delle speranze, non capisce. E, non capendo, scalcia, soffre, si sente defraudata (da Dio) e abbandonata (da Voichita).

Così, alcune reazioni eccessive o isteriche vengono presto lette dal gruppo di sorelle, della Madre e del Padre Superiore del Monastero come i segni nefasti della presenza del demonio. E la giovane, persa l’amica, viene condotta a perdere anche se stessa, fino alla morte.

E quell’apparentemente sereno luogo di raccoglimento diventa tetro: la pellicola procede verso l’apoteosi e l’epilogo sciogliendosi in un susseguirsi di quadri estremamente pittorici, caravaggiani, violentati dal contrasto netto dei chiaro-scuri che spesso prendono il sopravvento sulle parole e sui ripetitivi gesti delle suore del monastero.

Emerge, o meglio incombe nei quadri la presenza oscura del prete, artefice di questo terrificante omicidio, ancor più deprecabile se si pensa alla ‘mano’ che lo ha telecomandato: quella della fede, quella della religione. Quella, in definitiva, dell’ignoranza, della paura, dei ‘dettami dettati’ chissà quando.

La pellicola di Mungiu, o forse dovremmo dire la storia di Alina, non può non riportare alla mente tutti gli atti, nefandi e imperdonabili, commessi dagli uomini nel nome della fede. Non può non far riflettere sulla cieca capacità della fede di trasformare i concetti di bene e di male. Di uccidere la libertà: di movimento, di pensiero, di comprensione, di condivisione.

Un film da riflettere, quindi.

Ma anche da affrontare con molto, fin troppo impegno.

Se in effetti il tema non poteva aiutare il regista, un montaggio più veloce, una sceneggiatura in alcuni casi meno ripetitiva e delle riprese meno statiche avrebbero magari potuto aiutare gli spettatori.

Dalila Nontelodico

 

Oltre le colline (Dupa Dealuri)
Scritto da il ott 25 2012. Registrato sotto IN SALA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione

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