Magazine Cultura
(13/02/2007) I DI.CO. e il detto vincolante
Il Card. Ruini annuncia la pubblicazione di una nota vincolante per i cattolici (italiani?) a proposito dei DI.CO. e subito scoppia una polemica disarmante nella sua prevedibilità. La media degli articoli dedicati alla pre-vicenda è di due pagine, Corriere e Repubblica strafanno con tre, dedicando una parte consistente del loro spazio alla figura del dissenziente o, per dirla con Boris Vian, del diserteur, come a sottolineare una volta di più la presa di distacco dalle posizioni vaticane. Ciascuna delle posizioni è suffragata da autorevoli esponenti. In particolare è palese la ribellione nei confronti di una Chiesa, intesa come gerarchia ecclesiastica, sostanzialmente considerata una forza oscurantista e fuori contesto, guarda caso, nel dibattito politico italiano.
Io sono, almeno in parte, favorevole ai DI.CO. per diverse ragioni. In primo luogo non accetto che i non credenti debbano essere lasciati allo sbando legislativo solo perché non possono o non vogliono sposarsi: la configurazione della coppia deve allora essere diversa e non assimilabile a quella matrimoniale (né mi pare che in questo caso lo sia), ma ciò non vuol dire che questa sia l’unica configurazione possibile per una realtà complessa e variegata come la nostra. Secondo, il matrimonio è, non meno che una celebrazione religiosa o la costituzione di una cellula sociale, un accesso preciso a determinati vantaggi esclusivi, che non solo non contesto, ma sottoscrivo con forza in prima persona a scanso di qualsiasi equivoco. Ma sempre vantaggi esclusivi rimangono, con tutto ciò che comporta. Chi si sposa fa innanzitutto i propri interessi. Poi questi interessi si riversano nell’interesse collettivo; o meglio: esiste la consuetudine consolidata di appoggiare questo preciso modo di affrontare il problema dei propri interessi.
E, in sostanza, il matrimonio può essere un capriccio non meno che un DI.CO., con due importanti differenze: 1) che un capriccio si attesta sulla posizione della forma piuttosto che della sostanza, dell’effigie piuttosto che della cosa, per cui negando i DI.CO. si nega sostanza a un’esigenza (affettiva e materiale) che non ha altra possibilità di essere riconosciuta; e 2), che le coppie omosessuali non hanno nessun’altra possibilità di garantirsi assistenza dai soggetti interessati al rapporto affettivo e alla vita in comune. Il problema allora si sposta sul perché riconoscere o meno questi dati di fatto. E qui la risposta del Card. Ruini si fa lapidaria e insolitamente sbrigativa (e contraddittoria rispetto all'insistenza con cui si nega questa possibilità): queste unioni rappresentano la minoranza, dunque non si vede perché mettere in moto una macchina così complessa per garantire i diritti, anzi, come abbiamo visto, i capricci di pochi (dal momento che non in tutto il mondo omosessuale simili iniziative sono ben viste). Questo si chiama sovvertimento del principio democratico, per quanto mi riguarda, perché non è la quantità di persone a fare la legge e la maggioranza sceglie l’esecutivo, non i suoi provvedimenti: o meglio, la maggioranza sceglie l’esecutivo i cui provvedimenti ritiene più vantaggiosi (o i meno svantaggiosi) o i migliori per l’interesse collettivo.
E veniamo dunque al motivo per cui i DI.CO. mi lasciano perplesso. Fermo restando che mi mettono una tristezza infinita tutte le ragioni vacue e vili che iniziano con la parola ormai o i suoi sinonimi (o i suoi omologhi concettuali), sono d’accordo senz’altro con chi sostiene che i DI.CO. rappresentano un’unione debole. E dico, con tutta onestà, che forse un matrimonio alla Zapatero, indifferente al sesso dei coniugi, è più vicino all’idea di una società che premia la responsabilità e la durata per il bene collettivo degli stessi DI.CO. (per quanto io pensi, poi, che la legge durerà molto meno delle più scalmanate coppie di gay lussuriosi…): della serie, se è sul modello che si conta, che almeno prevalga il modello più solido e responsabilizzante (si veda la recentissima posizione di Cameron sui matrimoni gay). E infatti, non so immaginare ragioni per cui un uomo e una donna, che hanno a disposizione il matrimonio civile e diverse forme di matrimonio religioso (compreso il matrimonio misto), e hanno oltre a ciò la possibilità degli accordi prematrimoniali, debbano aderire a questa proposta per un puro capriccio (a meno che non sia, certo!, perché gli accordi prematrimoniali sono stati fatti molto tempo fa… e va bene, ma allora rinunciamo a tutto e stop!). Allo stesso modo mi riesce difficile accettare che un sano rapporto omosessuale, cioè un rapporto vissuto onestamente e con lealtà nei confronti del/la partner, possa essere regolato solo da un simile pacchetto di diritti automatici, perché è chiaro che di diritti automatici si parla, e non di diritti in generale (ammesso che due giuristi o due filosofi possano condividere la stessa idea di diritto, se non per grosse linee). Si parla, cioè, di diritti in qualche modo svincolati da un’esplicita dichiarazione di volontà delle parti in causa; diritti inseriti nella burocrazia quotidiana come l’istruzione elementare e così via.
Ma se il mondo cattolico è giusnaturalista, cioè riconosce in certi istituti una sua origine pregiuridica che va tutelata dalla giurisprudenza, di fatto quelli europei moderni sono sistemi misti di giusnaturalismo e di giuspositivismo, vale a dire che interviene in maniera pregnante anche una fondazione di nuovi diritti, in misura diversa per ogni Paese. Ora: giacché sulla natura originaria della famiglia possiamo intenderci solo fino a un certo punto, e non con tutti, e comunque non in forme o in strutture compatibili con le idee attuali di famiglia (e sarebbe il caso che Aristotele venisse chiamato in causa in modo più preciso anche per spiegare cos’è la famiglia per un filosofo del IV secolo a.C.); e giacché, soprattutto, questa minoranza, come la definisce il Card. Ruini, interessata a una regolamentazione di situazioni di fatto è in realtà in numero sempre crescente (ammesso e non concesso che il numero abbia un suo qualche peso quando si tratta di tutela), mi sembra giusto lasciare a chi ha un’idea diversa del nucleo familiare la possibilità di partecipare alla vita civile e sociale nelle forme che più gli si addicono. Alla laicità di un Paese cattolico come l’Italia si addice in effetti piuttosto la necessaria disparità di trattamento che, ripeto, condivido, approvo e ritengo imprescindibile. Attendo con interesse l’emanazione di questa nota vincolante, che si aggiunge a norme vincolanti già esistenti e di cui nessuno parla più, nonostante siano postille piuttosto pesanti ai dogmi già molto impegnativi e vincolanti del cattolicesimo.
Rimane il fatto che queste parole, interrotto ogni dialogo che non sia impositivo alle forze politiche, sono rivolte ai soli cattolici, su cui la gerarchia ecclesiastica può vantare il suo peso. Con permesso, con rispetto e con dolore devo aggiungere una nota finale: che se ne fa una società di una Chiesa che, per emanare una nota vincolante ai soli cattolici, la annuncia al mondo intero? La società non ha bisogno di omosessuali tanto quanto non ha bisogno di donne e uomini che si fanno sterilizzare per fare del sesso un capriccio in più o tanto quanto non ha bisogno di improduttivi single (credenti, laici o sacerdoti che siano). Qualcuno mi spiega la funzione civile dei single, per favore? Chi parla delle persone in termini di utilità sociale o con criteri produttivistici mi fa ribrezzo: è questa la vera, diffusissima, povertà spirituale, religiosa o atea che sia. Anche perché, d’accordo come sono ad accettare e consolidare le situazioni di fatto accompagnate da precise responsabilità reciproche e civili, io sono sempre convinto che una persona vale in sé, per il suo orizzonte spirituale e per i suoi atti, per la libertà che, se credo, gli riconosco di determinare la sua vita nel rispetto del contesto sociale. A me questi DI.CO., per quel che se ne è detto e letto, piacciono poco anche perché mi sembrano una scappatoia legale, un trucco bieco per godere immeritatamente di certi vantaggi e per avere qualche voto in più. Il punto è che ritengo comprensibile e molto più che accettabile l’esigenza di questi vantaggi nella ricerca della propria maturità affettiva e sociale: dunque, nei limiti di quel che si offre, sono un ragionevole compromesso tra una società (stavolta concreta), che non vuole condividere i suoi vantaggi, e certe precise categorie che vogliono accedervi, come sempre accade.
Quanto ai carrozzoni del gay pride, ai carnevali fuori luogo e fuori tempo, ne ignoro il senso ultimo e l’utilità in un’epoca in cui protesta chiunque per la coperta troppo stretta che lascia al freddo alcune persone piuttosto che altre, spostando la rabbia, il razzismo e la disapprovazione settoriale al di fuori dei consueti bersagli. Certi miti, certi slogan similsessantottini devono essere abbandonati da chi chiede ai politici risposte politiche. E un’altra cosa: la piazza non è sempre democratica, come invece sostengono a sinistra. Democratiche sono le persone istruite al concetto di democrazia, che sanno di cosa parlano, che sanno che quanto avviene nei palazzi del potere dipende già anche da loro: democratiche sono le persone consce dei loro diritti e delle loro responsabilità, cioè le persone istruite, anche loro malgrado, sul senso dello Stato di cui fanno parte. Il resto oggi, in era di ipocriti accordi trasversali e di compromessi all’ingrosso, a più o meno lunga scadenza, rischia di essere solo inquinamento sonoro e visivo: ma non può oscurare l’esigenza di certi diritti a fronte del crollo di un percorso spirituale e civile che non si può o non si sa condividere, a vantaggio di una nuova idea di Stato che sappia includere l’uomo e la sua autodeterminazione nella vita.
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(28/02/2007) DI.CO.sa si discute in Parlamento (e DI.CO.sa no)
Ecco un lancio ANSA molto curioso: » 2007-02-28 12:44
DI.CO.: Mastella, accantonare il ddl Unione giuristi cattolici: incoerenti e inaccettabili (ANSA) – ROMA, 28 FEB – Il ministro Mastella ritiene che il ddl sui Dico del governo, debba essere definitivamente accantonato. Mastella chiede che l’intera materia esca dall’agenda parlamentare dopo l’illustrazione delle dodici priorita’ dell’esecutivo Prodi. Intanto, l’Unione giuristi cattolici bolla i Dico come ‘incoerenti con l’ordinamento italiano’ e ‘inaccettabili per le conseguenze’: dare ‘rilievo pubblico ai rapporti gay’ che sono da considerarsi ‘privi di rilievo sociale’.
Non ho francamente idea, perché non ho una preparazione accademica in merito. Mi sembra, però, quanto meno arrogante voler rifiutare perfino la discussione, e l’eventuale bocciatura, del ddl sui DI.CO. una volta che si sarà ricostituito il governo Prodi. Mi sembra, inoltre, un passo falso, perché si lascia l’argomento alle chiacchiere popolari, al senso di giustizia o ingiustizia fai-da-te di ciascuno di noi, senza che si risponda concretamente al problema, in sede parlamentare di dibattito pubblico. Che poi l’Unione Giuristi Cattolici dichiari quel che dichiara, bene, è una sua opinione, senz’altro suffragata da argomenti più o meno solidi, che qui e ora non so e non posso onestamente discutere (mi chiedo cosa abbia mai pensato l’Unione Giuristi Cattolici della depenalizzazione del falso in bilancio o di altre leggine del genere, ma me lo chiedo sinceramente, polemico forse sì, ma prontissimo a discuterne, per quel che posso…).
Ma non è un approccio censorio che mi aspetto dal governo, da qualunque governo o da qualunque senatore che, come di recente Giovanardi, impediscono anche solo il dibattito e il confronto. E trovo davvero vergognoso che si possa procedere in questo modo ricattatorio, giocando con la vita e con le speranze di migliaia di persone… persone che, essendo persone, appunto, si attendono una risposta, anche negativa, e non una spugna che, con sufficienza, cancella una precisa richiesta di un elettorato, quello omosessuale o dei gay-friendly come si usa dire oggi, che ha contribuito attivamente a fare eleggere questo governo, e dunque a collocare lo stesso Mastella all’esecutivo e non all’opposizione. I politici di professione mi rappresentano, non mi sostituiscono, spero che lo vogliano capire tutti, prima o poi: non mi sollevano dalle mie responsabilità, che sono mie, e solo mie, e non mi devono schiacciare con le loro idee. Tra l’altro, non ci sono affatto i numeri per cui questo ddl possa in qualche modo anche solo sperare di essere accolto. Un po’ di intelligenza politica, dico: almeno quella, non guasterebbe mai. Ma anche un minimo di dignità politica: dignità politica che, per come la penso io, non prevede il boicottaggio di un referendum o di un dibattito parlamentare. Che poi ognuno porti avanti il suo progetto politico: è il minimo che possa fare per rappresentare chi lo ha eletto. È questa l’arroganza a cui non mi piego, a prescindere dall’oggetto della discussione in sé. Perché la laicità, o meno, di un Paese la fanno i cittadini reali, non la classe politica che vuole governare schiacciando tutto e tutti con interessi particolari.
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(10/03/2007) Chi DI.CO.ntestazione ferisce...
Meglio gay che Opus Dei? DI.CO.: ma stiamo scherzando? Questo significa aver perso il senso della realtà e dell’onestà intellettuale. Ci sono delle cose che mi indignano. Ho già scritto della mia posizione fondamentalmente favorevole ai DI.CO., nonostante una serie di perplessità.
Mi ripeto qui: sono favorevole a che chi non può o non vuole scegliere il matrimonio come costituzione di una nuova cellula sociale basata sull’affettività che gli è propria non sia lasciato allo sbando legislativo o a costosissime soluzioni privatistiche. Sono quindi favorevole ai DI.CO. come possibilità di recuperare queste scelte all’interno di un quadro sociale più ampio e non esclusivista. Ma, come reputo offensive e in malafede le accuse di coloro che parlano dei DI.CO. esclusivamente come di un tentativo di scardinare la famiglia eterosessuale monogamica, perché non si tratta di un boicottaggio, ma di un allargamento di certi diritti, soprattutto quando queste accuse sono ripetute fino alla nausea e mostrano di non sentire ragione alcuna, reputo a mia volta indecente uno slogan come quello su riportato. Io lavoro a stretto contatto, quotidianamente, con persone dell’Opera (pur non appartenendovi e non avendo alcun progetto del genere per il prossimo futuro): non solo non sono mai stato costretto a condividere opinioni che non mi appartengono, ma anche la mia vita spirituale non ha mai subito pressioni in una determinata direzione piuttosto che un’altra.
Prevengo eventuali cervelli malevoli dicendo che non solo la prossimità non mi impedisce alcune critiche, ma che anzi mi sento di parlare dell’Opus Dei proprio perché conosco di persona alcuni esponenti della Prelatura. Mi chiedo su che base ci si possa arrogare il diritto di lanciare uno slogan come “Meglio gay che Opus Dei”. E mi chiedo in qual senso essere omosessuale possa essere in sé valutato positivamente, addirittura in modo comparativo rispetto a una scelta di vita. Il principio fondamentale della società, la libertà di aderire a un progetto politico (lo Stato) con spirito cosciente e responsabile, prevede che faccia, della mia libertà, l’uso che ritengo migliore. Se la mia scelta è quella di vivere l’omosessualità seguendo le mie pulsioni e la mia affettività – con tutto ciò che comporta – devo essere libero di farlo; allo stesso modo, se intendo vivere la mia vita spirituale in un certo modo, non sopporto di vedermi offeso per ciò. Ancora una volta chiarisco, in anticipo, una cosa che mi verrà rimproverata, e che mi viene rimproverata spesso, e cioè il mio prendermi troppo sul serio e dare un peso eccessivo alle parole (anche quando si scherza). Ma intanto le parole sono lo strumento più comune per manifestare il nostro pensiero (e non vedo in che modo la leggerezza o la superficialità lessicale possano essere premiate o addotte come scusa di comportamenti scorretti); poi, la manifestazione di oggi era politica e chiedo ragione di una simile posizione politica, anche se isolata. Non si tratta di lesa maestà, figuriamoci, ma non mi basta neanche sentirmi ribadire l’importanza dei DI.CO. per scagliare strali a destra e a sinistra (magari, ipotizzo, senza neanche conoscere il reale ddl, ma solo sulla base di un principio di giustizia, legittimo ma non universale). E così, anche frasi come quella su Andreotti (che è contro i gay, ma dindirindina, baciava in bocca Totò Riina) è una scellerata, squallida mancanza di senso civico, di rispetto per quella giustizia che dovrebbe garantire dei diritti a queste persone: possibile che si congelino dei dissapori o delle perplessità nei confronti della giustizia per scongelarle al microonde quando più fa comodo? Ritrovo, in slogan come questi, la consueta confusione di registri linguistici e di posizioni politiche frullate e macinate a uso e consumo di pochi manifestanti per cui si sta facendo una confusione che certamente non meritano.
Se non fossi certo dell’esistenza di persone misurate e che faranno dei DI.CO. un uso, a loro modo, etico e adeguato a un regime di vita non esente da profondità e spiritualità (laica, ma pur sempre una spiritualità), mi troverei costretto a bocciare senza riserve una simile occasione di allargamento dei diritti. Troppo generosa – e troppo paziente, dal canto suo – Rosy Bindi (verso cui nutro simpatia e stima) a ricordare che simili manifestazioni potrebbero far male alla legge: quando si snatura il diritto, viene meno il senso stesso della convivenza civile. Perché non c’è patria senza cultura sociale e non c’è tradizione, cristiana o laica, senza patria. Non c’è cultura sociale senza senso dell’altro, che poi significa, innanzitutto, rispetto dell’altro. E non c’è rispetto che non parta, innanzitutto, da un sincero desiderio di conoscenza reciproca.
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