Pittore irrequieto e metafisico di un tempo con cui entra in dialogo critico, Savinio si serve dell'elaborazione letteraria in forma di processo forse di derivazione filosofica, quale articolarsi lucido e razionale fra tesi contrapposte: l'esperimento di per sé è una costante del XX secolo, ricorre nel teatro e quasi ossessivamente nelle pellicole statunitensi e in alcune forme sofisticate della letteratura "gialla": ciò che conta infine è proprio il modo in cui certe decisioni finiscono con l'aver maggior peso di altre e la storia prende la sua strada, per questo l'intelligenza vi gioca un ruolo decisivo.
Certo, nel caso specifico si tratta di un'intelligenza che morde rabbiosa la mistica e ne divora le briciole, di un estro che non si ferma di fronte a niente. Niente è ovvio, tutti gli indagati sono ugualmente sospetti, non di una colpa preconcetta, ma dell'irrazionale mitografia che li ammanta.
Savinio non drammatizza le vicende dei suoi imputati eccellenti, le stende ai nostri occhi con un gesto rapido e setoso, tra le volute impalpabili ne sottolinea le pieghe sospette e le stropicciature di una maglia da ricucire sulla nostra fisionomia civile e intellettuale di oggi. Perché dobbiamo sapere cosa farcene delle spoglie di questo passato, inutile finché non ne siamo coscienti e responsabili eredi. L'autore non si preoccupa – qui come altrove – di attualizzare i suoi propositi: al di là di qualsiasi impegno personale o disaccordo ideologico dei suoi interlocutori, propone una più seria, e non per questo meno giocosa, dialettica delle certezze nonché una più smagata fiducia nella verità che si cela dietro ogni sentenza.
Alberto Savinio
Dieci processi
A cura di Gabriele Pedullà
Sellerio, Palermo 2003
82 pagine