In questo senso la carriera di Steven Spielberg è esemplare, piacciano o meno i suoi film. Se è chiaro che tutto ciò che interessa l'uomo parla in qualche modo degli uomini, Spielberg ha firmato film in cui la fantascienza si configura come bolla in cui si scoprono a nuotare degli esseri umani, anche se talvolta tratteggiati con disegni convenzionali. A dire il vero, la collaborazione con Stanley Kubrick per A.I. gli ha giovato sul piano della densità, dell'impegno, della forza di molte scene, ha scrollato la faciloneria con cui la vita quotidiana americana veniva ricondotta, o meglio ridotta, agli standard delle statistiche, ma con esattezza descrittiva. Non che adesso si possa attribuire una qualità ritrattistica particolare, un'analisi sottile dei protagonisti, ma certo una maggiore complessità nel rapporto con gli altri personaggi e soprattutto con questa vita costantemente in pericolo, sulla terra o altrove.
Non che sia mancata mai una fantascienza del nostro quotidiano, ché anzi navi spaziali e basi lunari hanno sempre riprodotto uno scenario preciso di possibili realtà urbane del futuro, ma sembra che negli ultimi tempi la fantascienza si avvicini sempre più al mondo così come lo conosciamo noi, con la salumeria all'angolo e la volta celeste che crolla. Quando poi a ispirare un regista smaliziato come Spielberg è un maestro come Philip Dick, eccellente narratore, anche polemico - come ogni intellettuale di rango - di un proliferare dell'impossibile sotto i nostri occhi, ci si aspetta un esito quanto meno interessante. L'esito ha nome Minority Report e poco manca che mantenga le promesse.
Inutile negarlo: l'errore di una macchina più o meno perfetta è uno dei più interessanti moventi per inscenare una prodigiosa lotta dell'uomo contro questa macchina, contro la vita che questa macchina rappresenta. Tanto più che nel caso specifico la Precrimine è in difficoltà perché deve aspettare l'esito delle elezioni che decideranno il futuro dei finanziamenti e quindi dell'impresa. La scelta di Spielberg è in questo senso molto interessante, perché gli spettatori sono chiamati a giudicare, come elettori, sulla base dei problemi che comporta il giustizialismo delle intenzioni. È colpevole chi ancora non ha commesso un delitto? D'altra parte, è giusto sacrificare le prossime vittime, già condannate a morte sicura? I risultati ci sono, il numero dei crimini a Washington è crollato. Ciò non toglie che gli spettatori di questo gran film della vita sono chiamati, brechtianamente, a stare all'erta e a giudicare.
Una falla nel meccanismo che consente una facile manovrabilità, di cui è vittima l'agente Anderton, è un ulteriore strumento di valutazione per il pubblico, ma compromette il futuro della Precrimine. L'errore, che scombina le carte di una realtà che già è avventurosa ma tutto sommato troppo generica per giustificare di per sé un ennesimo film "realista" sul futuro, permette a Spielberg di andare a fondo nel mondo che sta descrivendo, di condurre il suo eroe attraverso una sequenza di set e sceneggiature altrimenti impensabili. Certo, disturba che al fondo di una costruzione tanto complessa ci sia l'eterna voglia di riscatto di un uomo provato dal dolore, terribile, non c'è dubbio, ma narrativamente abusato, di una perdita familiare per morte violenta. Vale a dire che in questo film di Spielberg il progresso scientifico sembra richiedere una giustificazione piuttosto che un motivo o un'ideologia collettiva fondante. Hollywood rimane pur sempre Hollywood, anche nel migliore dei casi, il mercato rimane pur sempre il mercato.
In Minority Report la privacy e l'anonimato non esistono più e non è un caso perché quello che conta non sembrano essere più le dinamiche interpersonali, ma una gestione dall'alto e dall'esterno dei sentimenti e delle emozioni. Non c'è bisogno di indicare il nemico in questa o in quell'altra fazione politica per fare di Minority Report un film di riflessione e di denuncia civile. E sarà per gli splendidi effetti speciali, mai gratuiti, della pellicola, o per le considerazioni che si possono fare sulla libertà collettiva e individuale, ma uscire dal cinema, trovarsi tra gente la cui vita scorre normalmente fuori dal film, dà la sensazione di essere stati catapultati via da una dimensione che ci era diventata anche troppo familiare.
Minority Report
Regia di Steven Spielberg
Usa, 2002, 145'.
Con: Tom Cruise, Colin Farrell, Samantha Morton, Max Von Sydow
Produzione: Cruise-Wagner, DreamWorks, Amblin
Distribuzione: 20th Century Fox