Omaggio a Gino Bartali, Campione di Umanità

Da Giovannipelosini

Conservo ancora un bel ricordo di quel lontano settembre 1961. Il grande Gino Bartali era un amico di famiglia e non era inconsueto vederlo in casa, ma quel giorno c’era un’atmosfera di festa che aveva coinvolto tutto il paese: il parroco, le autorità, i vicini e i parenti, gli appassionati e i tifosi, i curiosi di ogni età erano accorsi a vedere il campione. Il fotografo chiese di fare una foto nel salotto dei nonni, e subito Gino mi sollevò con le sue braccia robuste chiamandomi “Giovannino“, mettendomi così al centro della scena. Subito dietro c’era mio padre Mario che sorrideva…

All’epoca ero soltanto vagamente consapevole di essere in braccio a un grande campione, un mito del ciclismo, un uomo che era stato determinante nella storia d’Italia. Per me era soprattutto un amico di famiglia, semplice, gentile e cordiale, che avrei ricordato in seguito nelle mie avventure in sella alla rossa “Bartali” alta sì e no 50 centimetri, con tanto di gagliardetto della mitica marca di biciclette.

Gli adulti intorno a me ricordavano con nostalgia la straordinaria carriera sportiva di Gino Bartali, e il suo ruolo nel difficile momento politico del dopoguerra, quando la sua mitica vittoria al Tour de France nell’estate del 1948 fu determinante per evitare al nostro Paese l’incubo della guerra civile dopo l’attentato a Palmiro Togliatti. Tutti conoscevano le sue numerose vittorie (126 corse vinte, 3 Giri d’Italia, 2 Tour de France, 4 Milano-Sanremo, 3 Giri di Lombardia, 2 Giri della Svizzera), il suo animo di sportivo onesto e tenace, di cittadino virtuoso e generoso, e molti già lo consideravano un eroe nazionale. Ma pochi sapevano, in quel lontano 1961, quanto il grande ciclista fosse stato eroico durante i durissimi anni di guerra; perché Gino, per pudore o per modestia, o forse semplicemente perché sentiva di avere fatto soltanto il proprio dovere di essere umano, aveva rivelato solo a pochi intimi i rischi che aveva ripetutamente corso per salvare centinaia di persone da una fine atroce. E questo segreto si è mantenuto anche dopo la sua scomparsa nel 2000.

La Medaglia più importante

È per questo motivo che soltanto il 25 aprile del 2005 il Presidente della Repubblica Azeglio Ciampi gli ha conferito la Medaglia d’Oro al Merito Civile alla memoria, con la seguente motivazione: «Nel corso dell’ultimo conflitto mondiale, con encomiabile spirito cristiano e preclara virtù civica, collaborò con una struttura clandestina che diede ospitalità ed assistenza ai perseguitati politici e a quanti sfuggirono ai rastrellamenti nazifascisti dell’alta Toscana, riuscendo a salvare circa ottocento cittadini ebrei. Mirabile esempio di grande spirito di sacrificio e di umana solidarietà».

Negli anni cupi dell’occupazione nazista, Gino Bartali era un membro attivo di una organizzazione clandestina finalizzata a salvare i perseguitati dalla deportazione e dalla morte. In particolare il suo ruolo consisteva nel recapitare documenti e denaro in Toscana, Emilia, Umbria e Liguria dopo averli nascosti nel telaio o e nel manubrio della bicicletta, pedalando per centinaia di chilometri ufficialmente solo per fare allenamento. In particolare fra il 1943 e il 1944 era stato molto attivo compiendo numerose missioni, aiutando in questo modo i perseguitati politici e le famiglie di ebrei. Racconta il figlio Andrea Bartali: «Papà prendeva anche dei soldi, che un avvocato ebreo andava a prendere in una banca di Ginevra, dove venivano depositati i contributi della comunità ebraica americana, per farli poi arrivare ad alcune famiglie nascoste in clandestinità a Firenze». Tutto ciò era estremamente rischioso: dagli archivi della polizia e del Ministero dell’Interno risulta che Bartali era sorvegliato da spie e da infiltrati, insospettiti dai suoi frequenti viaggi in bicicletta. Ricorda ancora Andrea: «Spesso, quando mi portava a passeggio sull’appennino tosco–emiliano, mi raccontava dei pericoli che aveva corso, di quando lo fermava la polizia fascista, o di quando doveva smettere di pedalare a causa dei bombardamenti, rifugiandosi nel primo anfratto utile (…) prima mi diceva, mi accennava, ma poi subito mi redarguiva: guai se parli con qualcuno di queste cose, nessuno deve sapere, mi raccomando!»

Il Giardino dei Giusti

Altri riscontri storici e testimonianze sono emersi di recente, ed è ormai iniziato il complesso e severo iter che dovrebbe portare presto al riconoscimento di Gino Bartali come “Giusto tra le Nazioni“. Esiste infatti a Gerusalemme il Museo Yad Vashem, che ospita il Giardino dei Giusti in cui si pianta un albero in onore e in memoria dei non ebrei che contribuirono a salvare la vita degli ebrei durante la feroce persecuzione nazista. E le testimonianze ormai dimostrano che Gino Bartali ne abbia salvati circa 800 dal genocidio.

Oggi mi sento orgoglioso e onorato di aver conosciuto il campione di umanità Gino Bartali, conservo gelosamente la dedica (A Giovannino con affetto) che mi regalò quel giorno, e provo ancora un grande affetto per lui e per suo figlio Andrea, erede della sua memoria storica. Penso che il nostro Paese debba essere grato a lui e a tanti grandi, eppur semplici, uomini e donne che, come lui, hanno vissuto e operato sempre secondo princìpi di umanità rappresentando il meglio della nostra nazione. Seguendo l’esempio di questi onesti e “Giusti“, non dubito che l’Italia e il mondo intero possano avere un futuro.

Giovanni Pelosini


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