Dal Mozambico, Festa della Donna(7 aprile) / DONNA D’ AFRICA / SEME DI SPERANZA / CHIAVE DI VOLTA DEL CAMBIAMENTO
Nei Paesi dell’Africa sub sahariana, ma non solo, le donne, quella che sia l’ età, sono generalmente coloro che, silenziosamente, lavorano di più degli altri componenti per mandare avanti la famiglia con tantissima dignità e senza mai badare ai sacrifici.
Parlo ovviamente di donne che sfacchinano da mattina a sera. Donne comuni. Non certo di quelle che, grazie all’istruzione e anche a discreti mezzi economici, sono diventate poi, in seguito, delle professioniste o delle imprenditrici. O anche donne impegnate politicamente .Come, ad esempio, Ellen Johnson Sirleaf, presidente della Liberia,che i suoi cittadini chiamano: “Mama Ellen” ma che le fonti ufficiali definiscono”Lady di ferro”.
Perché nell’Africa sub sahariana ci sono anche queste .E non sono, a dire il vero, neanche poche.
Ma sono le eccezioni ,e non la regola ,sulla stragrande maggioranza della popolazione.
Il BIT ,ossia il Bureau International du Travail ,organismo internazionale ONU, ci documenta una giornata lavorativa della donna africana intorno alle diciassette ore.
Il lavoro più comune e anche il più diffuso per le africane è quello di fare il mercato.
E lo fanno-riferiscono le fonti- indifferentemente tanto a Bamako quanto a Lagos, quanto a Dakar. Nonché nei loro stessi villaggi.
Più che vendita con denaro, sovente si tratta di un vero e proprio baratto. Cioè lo scambio, ad esempio, di dieci- quindici manghi con un pareo. Oppure pesce secco in cambio di sapone.
I prodotti agricoli, che vendono, provengono dai loro stessi campi o dai piccoli orti domestici.
Tra i peul, per esempio, l’allevamento del bestiame è appannaggio esclusivo delle donne così come dei bambini,che finita la scuola, se la frequentano, danno una mano agli adulti.
Insomma nella produzione alimentare le donne rappresentano l’80% della manodopera.
Il peggio però è che queste stesse donne, in caso di vedovanza o di abbandono, non hanno più diritto né alla terra, che fino a poco prima hanno coltivato, né all’eredità del marito. Subentra, infatti, la famiglia di lui, che si riprende tutto indietro.
E ,a questo proposito, calza a meraviglia il vecchio adagio peul, che recita così : “La terra è un padre che non riconosce le sue figlie.”
Se le donne, che devono sostentare la famiglia, vivono in città anziché in campagna, allora diventano quasi sempre venditrici in nero di un po’ di tutto: dai medicinali adulterati, magari cinesi, ai distillati di manioca, all’acqua.
Se, nella città, si passa in rassegna il mondo delle donne impiegate, quelle in possesso del titolo di studio, ecco invece che scatta subito la competizione uomo-donna, assente nelle aree rurali.
Significa cioè che, in caso di crisi economica, per l’azienda privata o posto pubblico che sia, la prima ad essere licenziata è la donna.
Senza contare poi che le stesse leggi dei diversi Paesi in questione, Africa sub sahariana e non, sono comunque restrittive e penalizzanti nei confronti del mondo femminile.
A volte però capita anche che è il marito a perdere il proprio posto di lavoro. Ed ecco che la donna africana non si tira mai indietro. Si arrangia ma provvede alla sua prole lo stesso, nella maniera la più creativa possibile, inventandosi un lavoro che non c’è.
Tra donne nasce sovente, per forza di cose, solidarietà. E così, insieme, nei momenti difficili, esse danno prova di sapersi organizzare a livello cooperativistico anche per fare fronte a leggi ingiuste dello Stato.
Succede in Senegal, in Burkina-Faso, in Mali.
E, talora, anche con l’aiuto degli organismi umanitari internazionali o delle organizzazioni non governative, non sempre è facile, c’è da precisare, per loro ottenere un credito allo scopo di fronteggiare la difficoltà del momento.
Così come è difficile per la donna africana accedere ai centri, dove si prendono le vere grandi decisioni, come il parlamento. Oppure, più modestamente ma, non meno importante, l’essere consigliera rurale in campagna (vedi il Senegal, ad esempio),dove su 4000 maschi le donne si contano appena sulle dita di una sola mano.
Fa eccezione in questo, ma siamo già nell’Africa dei Grandi Laghi, il piccolo Rwanda. Ma la sua è una storia tutta diversa.
A Kigali, infatti, le donne contano e come nella vita politica del Paese. Sono la maggioranza in un giovane parlamento, che ha visto la luce dopo la vittoria del Fronte Patriottico Rwandese di Paul Kagame nel ‘94 e dopo il tragico evento del genocidio, in cui persero la vita, per intrighi politici supportati dall’Europa e dagli Usa, circa un milione di tutsi e di hutu moderati.
Anche accedere all’università, ancora oggi, è chiaramente un’impresa titanica per la donna africana. Sia pure quando le riesce d’ aggirare gli ostacoli frapposti al suo cammino.
In breve… professori,colleghi, fidanzati, mariti non le rendono la vita facile.
Nelle reti commerciali, attraverso l’import-export, le cittadine riescono invece, talvolta, ad avere il monopolio degli affari locali e a guadagnare più che bene tanto da arricchirsi sfacciatamente e, magari, ostentare vistosamente agli altri, i meno abbienti, questo loro successo.
Ma sono anche queste delle eccezioni .
Concludendo la donna africana, silenziosa in casa o ciarliera all’esterno, specie se deve fare i suoi affari e convincerti della bontà del suo prodotto, resta una creatura straordinaria, che il suo uomo comunque ascolta sempre, perché sostanzialmente la rispetta e si appoggia a lei, prima di prendere decisioni importanti.
La donna africana ha personalità, carattere. I luoghi comuni, che la dipingono come un essere sottomesso ed incapace di gestirsi, sono appunto soltanto luoghi comuni di chi ha sempre guardato all’Africa senza essere capace di spogliarsi della sua ottica occidentale.
Occorre invece, tanto nell’Africa sub sahariana quanto altrove,nella restante, dal Maghreb al Capo di Buona Speranza, favorire con ogni mezzo l’istruzione della donna. Battersi perché questo divenga realtà vera anche nel più sperduto dei villaggi africani.
Una donna istruita, oltre ad avere per se stessa una migliore qualità della vita, diviene autentico motore di sviluppo per l’intera famiglia allargata e, sovente, per la stessa comunità in cui si trova a vivere.
E non è poco. Anzi tantissimo.
La Storia d’Africa, oggi più di ieri, ha proprio bisogno di tingersi di rosa.
Marianna Micheluzzi.(Ukundimana)
foto in alto...Luisa Diogo, primo ministro del governo mozambicano nel 2004,esperta in Economia e Relazioni internazionali.