Non ho mai creduto agli scioperi dei consumatori che via via si sono susseguiti nell’ultimo decennio ora per la benzina, per alcuni prodotti specifici, grandi marche o marchette mediaset. E non per uno scetticismo connaturato, ma perché è la concezione stessa del consumatore che rende donchisciottesche e fallimentari queste campagne: il consumatore è solo, socializza attraverso il possesso di un oggetto e non per l’appartenenza a qualcosa d’altro, a una classe, a un ceto, a un’idea, a una comune speranza. Proprio questo è il portato del capitalismo negli ultimi trent’anni: l’averci trasformato da cittadini in consumatori e clienti.
Ma la campagna per boicottare l’acquisto di calze del gruppo Golden Lady (Golden Lady, Omsa, SiSi, Filodoro, Philippe Matignon, NY Legs, Hue, Arwa) e cercare di salvare i 350 lavorati dell’ Omsa di Faenza sacrificati non al profitto, ma all’avidità di chi vuole trasferire in Serbia la produzione per lucrare sul costo del lavoro, mi sembra una cosa diversa. Inaugura per l’Italia e per l’Europa un concetto diverso di prodotto in totale opposizione alle filosofie e logiche uniche del lavoro che ci vengono sbandierate e proposte proprio in questi giorni, un concetto simile per certi versi a quello contenute nelle campagne contro gli oggetti di culto pedestre e avvilente fatte produrre dai bambini in India. Questa volta ci riguarda da vicino e potrebbe cominciare a ritrasformaci in cittadini anche quando andiamo a fare shopping che è la vera, concreta sostanza stupefacente dei nostri anni.
Si tratta semplicemente di incorporare nel prodotto non solo il capitale, la forza lavoro, il profitto, le caratteristiche, il prezzo, ma anche la civiltà che ci sta dietro. Vale a dire il rispetto dei diritti, il livello dei salari, la fatica richiesta, la maggiore o minore disponibilità a licenziare, la cura verso l’ambiente. Dentro la calza, come in qualsiasi altro oggetto, non c’è solo materiale e fatica, ma anche dignità. Se da questo punto di vista c’è una carenza è come se la qualità dell’oggetto in sé fosse bassa e il prezzo non valesse la candela. Del resto quasi sempre tutto questo ha un riscontro concreto perché le delocalizzazioni, come quella in atto per l’Omsa, sono sempre un modo per evitare investimenti in tecnologie e prodotto, spostandoli sui bassi salari reperibili altrove, magari pure con l’apporto di governi interessati all’occupazione.
In una situazione di declino economico anche quel po’ in meno che potrei pagare per un prodotto che viene fuori da queste logiche, è un falso risparmio: di fatto è un contributo monetario perché anche a noi possa toccare la medesima sorte o qualcosa di simile. In questa prospettiva non sono più un semplice consumatore, ma investo nell’acquisto anche la mia idea di civiltà e in qualche modo anche il mio stesso destino, insomma non sono più solo con i miei conti in tasca e i miei desideri, illusioni o suggerimenti occulti, divento parte di una società con un minimo di auto consapevolezza.
Per questo il boicottaggio di Golden Lady mi piace e mi sembra diverso dal solito appello. Se si cominciassero a non comprare più prodotti che incorporano sacrifici e negazioni di diritti, licenziamenti e abbandoni saremmo tutti più sicuri e avremo meno diktat di super manager e meno professori altezzosi arrivati finalmente al loro livello di incompetenza, tanto che per porre rimedio a questi licenziamenti come alle decine di migliaia di altri in arrivo si propongono di rendere più facili i licenziamenti. Ma non solo, avremmo prodotti migliori meglio progettati e costruiti: non per nulla la Volkswagen ha salari che sono il 40% più alti di quelli Fiat. Anche ammesso di pagare un po’ di più sono tutti soldi che non ci travolgeranno prima o poi. Più alta è la civiltà, più alta è la qualità.