Tempi duri, se una nozione come quella di “onestà” acquisisce un significato poco chiaro e c’è bisogno che se ne chiarisca il significato e i contesti di applicazione.
Tempi duri, anche perché nel discorso sulla definizione dell’onestà e dell’onesto entrano in gioco la sfera politica e amministrativa, che si rivelano responsabili di una corruzione dei costumi che a lungo andare diventa consuetudine. Questo il motivo per cui leggiamo sulla presentazione del libro di Francesca Rigotti, intitolato appunto a questa virtù, che “l’onestà è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai politici e amministratori non sempre educati ai temi etici”.
Nel suo volume, breve ma esaustivo, l’autrice, professoressa all’università di Lugano, avverte la necessità di distinguere tra un uso “ristretto” del termine, ovvero la sua applicazione in ambito esclusivamente economico, che concerne proprietà e obbligazioni, a un senso “esteso”: questa parola infatti “ha a che fare con intenzioni, motivi e disposizioni del carattere e del comportamento di una persona. Se diciamo di qualcuno che possiede la virtù dell’onestà gli attribuiamo un aspetto lodevole del carattere”.
L’aura virtuosa che gravita intorno al suo significato fa sì che “ci aspettiamo che la persona onesta non menta, non inganni, non sopprima deliberatamente informazioni, non corrompa con denaro o ricchezza né accetti di essere corrotta, non rubi, non frodi, e infine, last but not least, paghi la giusta mercede al tempo dovuto, e senza dilazione”.
Insomma, il comportamento onesto non è attribuibile esclusivamente all’ambito legale, ma va considerato anche il suo aspetto morale: “l’onestà – afferma Mario Ricciardi sul Sole 24 ore – non si riduce alla legalità perché ci sono atti disonesti che sono legalmente indifferenti”. Una riflessione su cui non si dovrebbe dubitare, se non fosse che anni di comportamenti irresponsabili e immorali – prima ancora che illegali – non avessero abituato l’opinione pubblica a considerare solo il senso “ristretto”, puramente formale, di un dato comportamento. Come se l’importante, per rimanere onesti, sia non farsi “beccare”.
Siamo d’accordo, di conseguenza, anche con la denuncia che Corrado Passera fa nel suo libro “Io siamo”, quando parla di “inadeguatezza delle classi dirigenti” che descrive come “esauste, preoccupate solo di conservare le proprie rendite di posizione. Scelte fatte pensando all’immagine o, peggio, con l’intento di risolvere meschini problemi personali o aziendali senza curarsi dell’interesse nazionale”. Il bilancio, afferma l’ex ministro, ci mostra una Seconda repubblica che non solo ha fallito sul fronte economico e istituzionale, ma anche su quello etico.
Ben venga dunque un lavoro come quello di Rigotti, che ci ricorda le nostre responsabilità e ci aiuta a mantenere un orizzonte morale indispensabile per l’attuazione del bene comune.
MC