Onorevoli stipendi e la politica che non sa tagliarli

Creato il 18 novembre 2013 da Alessandro Zorco @alessandrozorco
 

“Servirebbe un tetto agli emolumenti perché dalla politica non si deve guadagnare”, titola oggi l’Unione sarda in un articolo in cui l’editorialista Aldo Berlinguer individua alla radice delle ultime vicende della politica, italiana e sarda, il “rapporto perverso tra rappresentanza politica e danaro”. La ragione dell’inquinamento della politica sono – secondo Berlinguer – gli emolumenti eccessivi dei nostri rappresentanti politici che se non saranno abbassati continueranno ad alimentare “una politica inguaribilmente malata che saprà perpetuare gli abusi affinando tecniche e meccanismi, affinché non vengano scoperti e sanzionati”. Anche perché, rammenta Berlinguer, i superstipendi non sono motivati da chissà quali competenze dei nostri onorevoli: sono motivati esclusivamente dalla monetizzazione della loro capacità di prendere voti. Berlinguer ipotizza un tetto massimo di seimila euro di stipendio per i politici di ogni ordine e grado. Una cifra sicuramente equa e dignitosa. Il grosso problema è che sono gli stessi politici a doversi tagliare lo stipendio. Cosa che in questi anni non sono riusciti mai a fare nonostante spesso i cittadini si siano pronunciati sul taglio dei costi della politica.

La politica nostrana – non lo si scopre adesso – segue le leggi di marketing pubblicitario, dove non vince necessariamente il prodotto migliore ma semplicemente ciò che viene venduto meglio. E’ un sistema consolidato, alimentato dai cittadini comuni che da un lato firmano indignati le petizioni per il taglio dei costi della politica ma poi spesso e volentieri votano questo o quel candidato perché alla fine sperano di ricevere un favore o comunque un aiutino in caso di necessità. Berlinguer ipotizza un tetto massimo di seimila euro di stipendio per i politici di ogni ordine e grado. Una cifra equa. Se non fosse che il sistema politico conosce tanti modi per fingere di tagliare gli onorevoli stipendi, composti da tante voci che alla fin fine, sommate tra loro, difficilmente finiscono per diminuire effettivamente.

Le proposte sugli onorevoli stipendi

Anche in casa nostra qualche considerevole sforbiciata alle indennità e ai privilegi c’è stata. Ma quando si è trattato di affondare veramente le forbici il Consiglio regionale si è sistematicamente ritratto. Basti pensare che la proposta di legge di iniziativa popolare presentata dal comitato algherese Lu Puntulgiu  che chiedeva il dimezzamento degli onorevoli stipendi è rinchiusa dal 2005, ben otto anni, in un cassetto  del palazzo di via Roma. Nonostante sia stata firmata da 17 mila sardi, l’unica volta che la proposta è stata portata in Aula, il Consiglio, bipartisan, ha votato la “non urgenza”. Eppure la proposta de Lu Puntulgiu era abbastanza documentata: spiegava voce per voce gli onorevoli stipendi del 2005. Da notare che, nella somma complessiva imputata ai singoli consiglieri, nella ricostruzione fatta dal comitato Lu Puntulgiu nel 2005, veniva computata anche la quota relativa alla ripartizione mensile delle somme ricevute dai vari gruppi consiliari (2.500 euro al mese a testa).

Qualche anno dopo il Consiglio regionale ha riservato lo stesso trattamento ad una proposta di legge di iniziativa popolare presentata dall’Italia dei Valori Sardegna: in questo caso erano circa 20mila i sardi chiedevano una diminuzione considerevole degli onorevoli stipendi dei consiglieri, l’abolizione dei fondi ai gruppi e la totale soppressione delle consulenze esterne, causa spesso di clientelismo e corruzione. In particolare la proposta prevedeva l’abolizione dei fondi ai gruppi consiliari (eventuali contratti di lavoro dei dipendenti per trasparenza sarebbero potuti esser gestiti dal Consiglio, come avviene tuttora nel Parlamento Europeo), la soppressione dell’indennità di reinserimento al termine del mandato, quella del vitalizio per i mandati svolti e le indennità di carica aggiuntive. Si proponeva inoltre il taglio delle altre indennità aggiuntive e una rimodulazione della cosiddetta diaria, da riconoscere solo ai consiglieri residenti oltre 50 chilometri da Cagliari e per i giorni di effettiva presenza ai lavori del Consiglio. Infine si prevedeva di ridurre a un terzo i contributi ai consiglieri regionali per spese di aggiornamento e documentazione (spese che sarebbero dovute in ogni caso essere rigorosamente documentate) e il divieto di consulenze esterne alle pubbliche amministrazioni, consentite eccezionalmente e solo con le Università, qualora venga accertata e certificata l’assenza di competenze specifiche presso il personale dipendente. Nella proposta – tra l’altro – era espressamente indicato come si sarebbero dovuti utilizzare i proventi risparmiati sul taglio degli onorevoli stipendi e in generale dei costi della politica: sviluppo e posti di lavoro.

Insomma, ha ragione Aldo Berlinguer quando dice che un onorevole stipendio di 6mila euro sarebbe sufficiente per svolgere al meglio gli incarichi politici. Ma i tentativi in questi anni ci sono stati. Anche ad opera dei cittadini che hanno firmato petizioni, referendum e proposte di legge per limitare gli onorevoli stipendi. E’ che il sistema politico (sicuramente non tutti i politici sardi alcuni dei quali hanno mostrato disponibilità in questo senso) è sempre stato nel suo complesso abbastanza sordo a questi richiami. Basti ricordare che nonostante il cosiddetto referendum “anticasta” del maggio 2012 li avesse azzerati, stipendi, diaria e indennità sono stati immediatamente ripristinati completamente con una leggina approvata il mese dopo. Nessuno chiede che la politica lavori gratis. Ma forse andrebbe studiato un metodo più efficace per evitare che siano gli stessi esponenti politici a decidere l’entità dei loro onorevoli stipendi (che attualmente vengono ancorati a quelli dei magistrati con funzione di presidente di Sezione della Corte di Cassazione). E’ un metodo perdente in partenza. E ovviamente a perderci sono sempre i cittadini.

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Alessandro Zorco

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